L’invidia (capitolo II – parte prima)

boschiLagoPaterno_zoom.jpgQuella mattina il vecchio Finn si svegliò alle cinque, come di consueto. Mai, nella sua lunga e faticosa vita, aveva mancato l’appuntamento con quell’ora. Da piccolo, quando viveva ancora insieme ai suoi genitori, veniva svegliato dai rumori del padre che, sbuffando e maledicendo la vita, si preparava per uscire di casa. Finita l’infanzia, il giovane Finn aveva trovato un lavoro alla cava vicino al suo villaggio, e così aveva per forza di cose dovuto mantenere quella sana abitudine di levarsi prima che il sole sorgesse. Nella cava il giovane aveva trascorso tanti anni finché, infine, era divenuto il vecchio Finn. Ora, volente o nolente, si svegliava sempre a quello stesso orario, il suo corpo si era totalmente abituato. Aveva abbandonato il lavoro, ma non la sua buona abitudine. Dopo essersi alzato l’uomo si lavava con calma, mangiava qualche frutta e usciva di casa a preparare il carretto col quale avrebbe fatto la spola fra la sua abitazione e il vicino paese di Laghtbaun, rinomato in tutta la regione per il mercato che vi si teneva quotidianamente. E il vecchio Finn, ora, era un mercante. Con i risparmi messi da parte grazie al suo duro lavoro alla cava, aveva acquistato dal signor Dunne, il più ricco proprietario terriero del luogo, alcuni terreni un po’ dislocati dal centro del villaggio, ma confinanti con la sua dimora, un tempo dimora anche dei suoi genitori, e un tempo ancor più remoto, dimora dei suoi nonni materni, dai quali Finn aveva ereditato la cordialità e l’abilità nel commercio, abilità che ora, dopo una vita trascorsa a lavorare duramente tra pietre e polvere, aveva deciso di far fruttare. Ciò che le sue terre gli donavano, lui lo vendeva al mercato ad ottimo prezzo e con tanta cortesia. E così, il vecchio Finn tirava avanti, sei giorni su sette preparato il suo carretto e assicuratolo ai suoi due cavalli, si dirigeva a Laghtbaun, pregando il buon Dio che la gente avesse numerosi e consistenti acquisti di effettuare. E, sei giorni su sette, lungo il tragitto, sostava presso la casa di Finbar Doyle, suo lontano nipote, per svegliarlo e ricordargli che doveva sbrigarsi se non voleva arrivare tardi a lavoro. Anche quella mattina, come di consueto, giunto in prossimità dell’abitazione del giovane parente tirò le briglie ai cavalli, intimandoli di fermarsi. Le due bestie rallentarono il passo alzando un po’ di polvere dalla terra rossiccia del sentiero che percorrevano. Finn scese dal carretto e lentamente si avvicinò alla porta d’ingresso.

 

Autunno2.jpg«Diavolaccio, basta poltrire!». Il suo grido ruppe il silenzio della zona, altrimenti tranquilla. Non c’era vento, e i cavalli erano immobili. L’uomo sedette sulla vecchia sedia a dondolo sistemata sotto il porticato esterno, presso la finestra della modesta abitazione. Prese dalla tasca del pantalone un sigaro e l’accese con l’altra mano, dopo averla ritratta dalla tasca della sua giacca leggera, nella quale conservava i fiammiferi. Una piccola nuvola di fumo nacque dal sigaro e circondò il suo volto. Tossì. Con la mano libera iniziò a battere sul legno dell’anta della finestra, alternando respiri di fumo a grida per svegliare il nipote. Questi, dal canto suo, non accennava a svegliarsi, ma immobile restava nel proprio letto, sordo ad ogni rumore. Lo zio, fuori dalla casa, cominciò a preoccuparsi. Solitamente, dopo qualche bussata e qualche urlo, il giovane rispondeva con voce assonnata che stava per alzarsi, che di lì a poco sarebbe stato pronto, che non ne poteva più di quel vecchio che ogni mattina passava a svegliarlo. Ma quella volta Finbar non accennava a stancarsi del sonno. Finn si alzò, lasciò cadere il sigaro quasi del tutto consumato e lo calpestò con un piede, con forza, poi si piazzò di fronte alla porta e prese a colpirla con maggiore frequenza ed intensità, mentre anche il volume della sua voce aumentava.

 

 

 

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L’invidia (capitolo II – parte prima)ultima modifica: 2009-09-29T22:15:00+02:00da carminedecicco
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