Ciò che mi ha immediatamente colpito de “I turbamenti del giovane Törless” è la maturità della scrittura. Robert Musil, l’autore, lo scrisse ad appena ventisei anni, nel 1906. Nonostante la giovane età, tuttavia, la sua prosa è pienamente compiuta, perfettamente misurata. Attraverso di essa racconta la maturazione, non priva dei turbamenti del titolo, che vive il giovane Törless, allievo di un severo collegio militare nel quale vengono educati i giovani della ricca borghesia austriaca. Già, l’Austria. In queste settimane ho letto diverse opere di scrittori di questo paese. Ho letto Roth, ho letto Schnitzler. Autori che in modi diversi hanno descritto una società malata, sull’orlo della rovina. Una società che in effetti fa da sfondo anche al romanzo di Musil, per quanto esso si focalizzi soprattutto sull’ambiente del collegio e sui sentimenti che invadono l’animo e la mente del protagonista. Questi, diciamolo subito, è un ragazzo diverso dagli altri: più timido e riservato, malinconico e tenebroso, ma desideroso comunque di godere dell’amicizia di compagni «sovente scatenati e selvaggi fino alla violenza». Nei loro confronti prova ora desiderio di comunione, ora ripugnanza e fastidio. Eppure è integrato nel loro mondo, un mondo terribile e ipocrita, che nasconde violenza e soprusi dietro l’ingannevole facciata di prestigiosa palestra formativa. Un mondo dove si è o vittima o carnefici, dove la libertà è negata. Dove Törless cresce e affronta i propri turbamenti, anche di natura sessuale. Alla fine sceglierà la fuga dal collegio, che equivale al rifiuto del male, che pure aveva conosciuto. Ma questa è la fine dell’opera. Le prime dieci pagine, che ho letto per l’iniziativa “10 pagine x 10 libri”, sono ben lontane dagli sviluppi successivi. Musil concede al lettore l’occasione di conoscere un po’ il protagonista, di avvicinarsi al suo mondo con calma, prima di entrarvi e assistere alla rivelazione delle perturbanti (termine nietzschiano usato non casualmente) verità e novità che scossero la cultura europea di inizio Novecento e valsero la fortuna dell’opera.
non conosco quest’opera che sembra ritrarre uno spaccato di vita che ancora oggi forse sopravvive soprattutto in campo militare, ma leggendo il tuo post devo dire che mi incuriosisce sembra essere un’ottima lettura
un caro saluto 🙂
Vittime o carnefici, violenti o comprensivi, buoni o cattivi che strano mai cercare la comprensione e tendere una mano. leggo molto anchio e quasi sempre finisce così. La vita poi a cosa si riduce?
Il protagonista poi finisce per fuggire dal colleg come accenni tu. Una istituzione che fallisce o fatta solo per i canefici? Lascia da pensre e spero che le menti moderne siano disposte non a fere i opescecani ma alla comprensione e a valori che nella sensibilità umana trovano il motivo trainante dei loro valori.