Bloody Sunday – recensione

 

Diciamolo subito: “Bloody Sunday” è un film di guerra.

 

Ma di una variante infame della guerra. Sì, perché se è vero che ogni guerra è drammatica a suo modo, bisogna anche ammettere che non tutte lo sono nella stessa maniera. Prendete ad esempio la guerra affrontata in questa pellicola del 2002 diretta da Paul Greengrass. Siamo nel 1972, in Irlanda del Nord, che allora come oggi faceva parte del Regno Unito. Solo che, allora come oggi, c’erano persone che volevano l’indipendenza dalle terre di Sua Maestà. Si trattava di terroristi dell’Ira, l’Irish Republican Army, di idealisti, ma anche di giovani, giovanissimi e ingenui. Tutti contro gli inglesi, anche se in maniera diversa…

 

C’era chi come Ivan Cooper lottava in maniera pacifica per ottenere più diritti per gli irlandesi, chi invece come Gerry Donaghy lanciava pietre insieme agli amici contro gli occupanti. Il regista segue nel dettaglio le loro azioni come quelle del generale MacLellan, coordinatore delle truppe britanniche e quelle di un soldato semplice protagonista della vicenda. Analizza la loro domenica di sangue (bloody sunday in inglese, appunto). La domenica, cioè, nella quale una marcia per i diritti civili si trasforma in una strage: nella città di Derry il Primo Battaglione del Reggimento Paracadutisti apre il fuoco su alcuni irlandesi che marciavano per la giustizia. Vengono colpite ventisei persone, ne muoiono tredici più un’altra qualche tempo dopo. Perdono la vita quattordici civili, disarmati, alcuni dei quali colpiti alle spalle, mentre cercavano di fuggire…

 

Sia detto per inciso: le misericordiose potenze occidentali sono intervenute per molto meno a imporre la miracolosa democrazia in stati sovrani.

 

La commissione Widgery, incaricata di indagare sui tragici eventi, non comminò alcuna sanzione ai militari coinvolti nella strage. Nel 2010 però il Primo Ministro del Regno Unito David Cameron ha definito quanto successo allora: «ingiusto, inqualificabile, sbagliato» (qui un articolo sulla vicenda).

 

Ma torniamo al film. Attraverso una cronaca dura e realistica il regista mostra come la scellerata repressione delle forze speciali britanniche non fece altro che aumentare i proseliti dell’Ira e l’estremizzazione dell’impegno politico nei territori nordirlandesi. Un’inquadratura tutt’altro che stabile, quasi amatoriale, conferisce maggiore realismo all’accaduto e favorisce l’immedesimazione dello spettatore. Greengrass dà conto del razzismo degli inglesi, della difficoltà per i giovani del posto di star lontano dai guai e trovarsi un lavoro, della complessità della situazione, con la convivenza di pacifisti, battaglieri e tutto ciò senza mai essere retorico o fastidiosamente pedagogico. Anche nelle scene che riguardano l’organizzazione – della manifestazione come della repressione – lo squillo continuo del telefono serve a mostrare la complessità del dietro le quinte e da un lato contribuisce a conferire alle scene maggiore veridicità, dall’altro turba e agita chi guarda. Turbamento e inquietudine che divengono poi rabbia e amarezza alla fine di questa pellicola, che ha il grande merito di ricostruire la storia, avvicinare ad essa e spiegare bene fenomeni come quelli della rabbia e della lotta armata, assumendo una convincente ottica dal basso.

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Bloody Sunday – recensioneultima modifica: 2012-03-01T14:32:44+01:00da carminedecicco
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2 pensieri su “Bloody Sunday – recensione

  1. Amo particolarmente i film basati su storie vere, trovo che abbiano qualcosa in più, d’importante, rispetto agli altri.
    Sullo stesso tema avevo visto, e apprezzato, lo splendido “In the name of the father”, con la grande interpretazione di Daniel Day-Lewis.
    Questo invece mi sa che mi manca…

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