Il ricercato

Nell’aria si sentiva appieno il malinconico e variopinto autunno che aveva preso il posto dell’estate da poco declinata. Lungo il sentiero, qualche foglia rossiccia come addormentata riposava sul terreno battuto, e di tanto in tanto, quando gli zoccoli del possente cavallo che attraversava quei luoghi si posavano troppo vicini ad esse, queste si sollevavano nell’aria, cullate in una strana danza dall’aria non troppo fredda. Terminato il loro spettacolo ricadevano sulla via, per tornare a riposare. Il galoppare del cavallo talvolta attirava qualche curioso animale, che, impavido, usciva dalla folta boscaglia per osservare la situazione: un destriero color notte, imponente, massiccio, avanzava veloce lungo il sentiero, con due persone sul dorso. Entrambi non erano molto grossi, ma quello seduto davanti era decisamente più grande d’età. Era coperto da un lungo mantello, e anche il capo era seminascosto in una sorta di turbante, che lasciava scoperti gli occhi penetranti e vivaci e le labbra, nobili e sottili. Un bel volto, senza dubbio, sfigurato però da una cicatrice all’altezza del mento, non molto grande, a differenza di quella che lo stesso uomo aveva sulla mano sinistra, cicatrice che doveva partire dal braccio, come si intravedeva quando la corsa del cavallo faceva alzare le maniche della veste dell’uomo. Il ragazzo che sedeva dietro, invece, sembrava molto più giovane, sorrideva continuamente, sul suo volto era dipinta la felicità, che ben si poteva leggere negli occhi verdi, e nell’espressione di quel viso scuro, sul quale cadevano scomposte ciocche di capelli neri.

 

Il destriero non si arrestò finché non fu giunto in una radura.

«Eccoci arrivati, lì davanti a noi comincia il Bosco Oscuro» disse l’adulto, scendendo da cavallo. Il più giovane, imitandolo, osservò affascinato i fitti alberi che si ergevano dinanzi ai suoi occhi.

«Sorban, a cosa deve il suo nome questo bosco?»

«Si dice che sia infestato da spiriti ossessionati» rispose l’uomo di nome Sorban, restando nel vago, osservando sul volto del compagno apparire un’espressione di immenso stupore.

«Ma, giovane Enim, io non ho incontrato nessuna creatura malvagia. Ho visto in compenso driadi e centauri».

Enim non era più in sé dall’entusiasmo: «Quindi sei stato anche in questo bosco?»

«Sì, durante la mia fuga. È pieno di burroni, rovi, paludi e buie e pericolose grotte. Inoltre la vegetazione e così fitta, che non è mai molto illuminato, a qualsiasi ora del giorno. Mi sono nascosto lì per qualche giorno, prima di proseguire verso nord, e giungere a Solace»

«Dove ci siamo incontrati» aggiunse il ragazzino sorridendo. Era davvero allegro quando si trovava in compagnia dell’amico, e quando insieme andavano a fare lunghe passeggiate, per allontanarsi un po’ dall’ambiente della loro città, che di giorno in giorno diveniva più pesante a causa del Teocrate.

«Sai – disse Sorban – al di là di questo bosco c’è la tua città natale, Haven»

«Bell’affare» rispose imbronciato Enim, suscitando la risata del più adulto compagno.

Tuttavia questi si interruppe improvvisamente, portandosi l’indice sul naso per avvertire l’amico che doveva rimanere in silenzio. Con la mano sinistra estrasse una spada corta da sotto al proprio mantello, mentre con la destra afferrò una piccola balestra che era legata alla sua cintura. Enim, spaventato, afferrò la sua fionda, che come al solito teneva nascosta nella tasca del pantalone.

 

«Coboldi!» gridò Sorban, non appena individuò da dietro un grosso masso un ripugnante essere dall’espressione cattiva. Spinse Enim indietro intimandogli di non muoversi, e caricando la propria balestra. Dopo qualche secondo sparò un colpo  che si conficcò esattamente in mezzo agli occhi del coboldo. Il giovane osservò la scena disgustato, ma non potè fare a meno di ammirare l’abilità del compagno nel colpire a distanza. Dal masso uscirono rapidamente altri tre mostri, armati di fionde e pugnali. Sghignazzavano del tutto indifferenti alla morte del proprio compagno. Sorban lasciò partire un altro colpo che ancora una volta andò a segno, finendo dritto dritto nel petto dell’avversario, proprio dove aveva il cuore. Poi l’uomo si voltò verso il suo giovane amico, per assicurarsi che stesse bene, e questa distrazione gli costò cara. I due coboldi rimasti lanciarono entrambi un pugnale verso di lui, colpendolo alla mano che reggeva la balestra. Sorban urlò e lasciò cadere l’arma. In un attimo i due furono su di lui, e sguainarono un altro pugnale a testa. Sorban minacciosamente cominciò a muovere la spada, per spaventare i nemici, ma questi, per nulla intimoriti, gli si gettarono contro. L’uomo riuscì a parare i colpi di pugnale, ma nulla potè quando uno dei due coboldi gli morse la mano ferita. Un altro urlo squarciò l’aria altrimenti muta, mentre i possenti alberi colorati da foglie variopinte guardavano imperturbabili la scena. Con tutta la forza rimastagli l’umano vibrò un potente colpo di spada, che tagliò la gola del coboldo che ancora gli stringeva la mano tra le fauci, ma l’altro approfittando della situazione, con il proprio pugnale ferì Sorban alla spalla destra e con forza colpì la sua spada, facendogliela cadere. Il mostro rise in maniera disgustosa mentre alzava il pugnale per colpire a morte il proprio avversario, ma questi, lesto, fece una capriola passando al lato sinistro del coboldo, e colpendolo con un calcio, approfittando del suo disorientamento.

Tuttavia era ancora disarmato.

 

«A terra!». Al grido del giovane Enim, Sorban si gettò tra le foglie che ricoprivano il sentiero, ma ebbe il tempo di vedere una grossa biglia di metallo partire dalla fionda dell’amico e conficcarsi nell’occhio destro del coboldo, anch’esso giratosi in seguito all’urlo. Sorban lestamente si alzò, recuperando la sua spada e finendo il coboldo semicieco con un colpo al cuore.

«Hai un’ottima mira» disse raggiante all’amico che correva per avvicinarsi.

«Non direi – rispose quello, scettico – avevo puntato all’occhio sinistro!»

Entrambi risero di gusto, poi Sorban recuperò la sua balestra e prese qualche pugnale ai coboldi, visto che a loro non sarebbero più serviti.

«Hai bisogno di medicarti» gli disse il giovane.

«Certo, ora lo farò, tu intanto controlla sui cadaveri se c’è qualcosa di interessante. Questi tizi erano dei ladri, magari hanno qualche moneta nelle loro tasche».

Enim vinse l’iniziale riluttanza e perquisì i cadaveri, poi tornò dall’amico.

«Davvero sei bravo nel colpire a distanza, potresti anche padroneggiare un’arma misteriosa di cui ho letto notizie in alcuni miei libri, ma che non sono mai riuscito a trovare»

«Che arma?» chiese il più giovane, incuriosito.

«Te ne parlerò lungo la via del ritorno, per ora è meglio abbandonare questi luoghi»

Enim montò sul cavallo insieme all’amico e gli consegnò qualche moneta che aveva trovato. Pensò tra sé e sé che era bastato nominare la sua vecchia città per far succedere guai, poi si mise ad ascoltare con attenzione la storia di Sorban che conduceva il destriero lungo lo stesso percorso già compiuto, questa volta però in senso opposto. Solace non distava molto.

 

Autunno 07.jpg
Il ricercatoultima modifica: 2009-05-13T23:09:00+02:00da carminedecicco
Reposta per primo quest’articolo

Un pensiero su “Il ricercato

  1. Ciao 🙂 Grazie per la visita e il commento 🙂
    Ho dato un’occhiata al tuo blog, interessante, sia per contenuti (molto fantasioso questo post) che per varieta’: racconti, poesie, recensioni… Senza nulla togliere ai blog monotematici, alcuni sono molto belli, mi piace questa varieta’ 🙂

I commenti sono chiusi.