Lessi, vidi, pensai

Ho chiuso il libro quando sono arrivato a pagina 174. Con forza ho sbattuto la parte sinistra del volume su quella destra, alzando lo sguardo. Non sono più riuscito ad andare avanti. Troppa rabbia si è impadronita di me, mi ha riempito lo stomaco, agitandosi violentemente e pretendendo attenzione. Cercavo di ignorarla, nonostante già da diverse pagine la sentissi brontolare tra le mie membra. Arrivato alla parola umiliazione però, non sono riuscito più a trattenerla, disgustato da quello che Saramago descriveva. Un gruppo di ciechi malvagi che distribuisce cibo ad altri ciechi inerti in cambio di sesso con le donne di questi. Che crudeltà. Che vigliaccheria. E quanto disgusto e tristezza ho provato. Non riuscivo ad accettare che tutto ciò stesse accadendo davvero. E per impedire che continuassero le violenze ed i soprusi, ho smesso di leggere. Un libro ha qualcosa da dire solo se un lettore lo sfoglia e legge ciò che l’autore ha narrato. Non basta scrivere una storia per realizzare un romanzo, c’è bisogno che qualcuno si interessi ad essa, si industri di conoscerla. Un’opera letteraria è tanto di chi l’ha realizzata, tanto di chi ne diventa destinatario. Mi dicevo questo, e mi tranquillizzavo. In fondo, ripetevo a me stesso, cercando di placare il furore che ruggiva nella mia anima, se non continuo a leggere, ebbene, la vicenda non proseguirà, non ci saranno più ciechi malvagi, ciechi buoni, ciechi vessati, e nessuno degli altri protagonisti di Cecità. Ma, nulla da fare, non riuscivo a convincermi della bontà della soluzione. Ogni mio tentativo di mediare con la parte più intransigente di me era vano, vano come è vano gridare per farsi intendere da un sordo, oppure dare occhiali da vista ad un cieco, per fare una similitudine che calzi a pennello. Insomma, mi dicevo, io non leggo, ma quei poveri infelici restano lì, in quell’ex manicomio. Le donne continuano ad essere violentate, e per di più i loro mariti patiranno anche la fame, se la storia non prosegue. Dovevo leggere, passare oltre. Dovevo arrivare alla fine di quella maledetta notte, aspettare le luci dell’alba, che avrebbero decretato la fine dei muliebri patimenti. Ma un attimo di riflessione ulteriore mi palesò l’assurdità della mia convinzione. I non vedenti, proprio come dice il termine, non vedono. Ergo, non si sarebbero fermati certo con le prime luci del nuovo giorno. In fondo, lo stanco susseguirsi di tenebre luce tenebre luce ha senso per noi, noi che vediamo, che vediamo il sole tramontare e dipingere il cielo di viola, d’arancione o di rosa, che vediamo la Luna risplendere nel buio della notte, che vediamo le querule stelle, o il lieto albeggiare, con tutte le sue promesse, con tutte le nostre speranze. No, quei ciechi avrebbero continuato a soddisfare i loro biechi appetiti fino a quando ne avrebbero avuto voglia. Dovevo mobilitarmi, pensare ad una soluzione che andasse al di là del semplice rifiuto di leggere. Pensa e ripensa, un’idea mi passa a trovare, e l’accolgo meglio di come speranzosi fanciulli accolgono Babbo Natale la notte della Vigilia. Chi di penna ferisce, di penna perisce: sarei intervenuto io, giocando alla pari con Saramago. Non più lettore, ma scrittore anch’io! Non me ne vorrà l’autore portoghese, ma la mia psiche non riusciva a sopportare la direzione verso la quale il suo capolavoro si era incamminato. Avrei inviato un personaggio figlio della mia penna a risolvere la situazione. Certo, un mio personaggio, ma chi?

L’irlandese era certo capace d’uccidere, ma non volevo che prima che compisse l’omicidio per il quale era nato si macchiasse di altri delitti. Il russo, poi, avrebbe finito per fare una strage, spedendo all’altro mondo tutti i ciechi, senza distinzione di etica e morale, lui, fissato com’era con la teoria dell’estinzione come unica soluzione ai problemi dell’umanità. Scartai chi era troppo vecchio, chi troppo giovane, chi troppo innamorato o troppo imbranato per espletare la missione che avevo ideato.

Già cominciavo a disperare, quando mi venne in soccorso Enim. Lui era un assassino, un vero assassino. Rapido, silenzioso, chirurgico. Avvezzo ai pericoli, alle situazioni critiche. Mi dolsi che non fosse più in compagnia degli altri Cacciatori. Ma, poco male, pensai. Affronterà dei ciechi, ciechi da poco per giunta, non ancora avvezzi a sostituire a quello della vista gli altri sensi. Sarà perfetto. Apro il libro, cerco la fatidica pagina, e a matita comincio a scrivere…

Josè Saramago.jpg

 

Lessi, vidi, pensaiultima modifica: 2009-12-20T09:52:01+01:00da carminedecicco
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4 pensieri su “Lessi, vidi, pensai

  1. E’ capitato anche a me, qualche volta, di non finire un libro. Di solito smetto molte pagine dopo aver maturato il desiderio. La ragione è ostinata, non vuoe capitolare, concede deroghe a qualunue autore. Dovresti scrivere a Samarago ed eporgli le tue sensazioni di lettore che vuol farsi scrittore per cambiare la storia del libro. Non credo sia bene poter cambiare i libri, diventerebbero videogiochi. Ma chi scrive credo si aspetti reazioni, buone o cattive che siano. Altrimenti è solo un narciso. Ciao, buona domenica

  2. Credo di aver letto qualcosa al riguardo ma mi sembra riguardasse una recensione, perchè credo sia stato tratto addirittura un film da questo soggetto, però non conosco la storia.. ma andrò a documentarmi .
    è capitato anche a me di non riuscire a finire un libro.. perchè le tematiche trattate toccano corde che non mi facevano stare bene.. mi inquietavano e non riuscivo a metabolizzarle .
    quindi se andare avanti nella lettura ti turbava al punto da non riuscire ad andare avanti.. hai fatto benissimo a chiudere il libro e smettere di leggerlo.

    io non leggo, ma quei poveri infelici restano lì,..
    questa frase dimostra tutta la tua sensibilità

    un abbraccio

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