Lettera da Sant’Agata

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Cara Feny,

siedo in un piccolo bar, modesto, oltremodo semplice, e sorseggio un liquore leggero guardando fuori dalla finestra. Davanti a me, immobile e maestoso, si erge il monte Taburno, alle cui pendici sonnecchia la città di Sant’Agata. È tutto così irreale quassù, a partire dall’aria, dai colori, dalle luci. Tra il verde che ricopre la schiena della montagna, di tanto in tanto spuntano chiazze arancioni, rosse, gialle, alberi che si stanno spogliando, si stanno preparando per il lungo inverno.

Mi chiedo come saranno questi luoghi tra un mese o due, quando il freddo e la neve si imporranno su ogni cosa, congelando la vita, sospendendo l’esistenza. Forse nessuno uscirà più dalle proprie case, preferendo la compagnia di un tiepido fuoco scoppiettante…

Già stamattina non è stato semplice trovare qualcuno che ci indicasse la via per raggiungere il sentiero che avevamo deciso di visitare. Giravamo invano con l’auto da un bel po’ quando ho pensato che fosse il caso di fermarci a chiedere aiuto. Così sono venuto in questo bar e ho chiesto informazioni all’unico cliente che ho trovato nella piccola sala. Questi mi ha guardato, fatto qualche domanda, poi mi ha detto di seguirlo. È montato sulla sua vettura e ha cominciato a correre per una strada tutta curve e salita. Lo seguivamo meglio che potevamo, cercando di stargli dietro nonostante non conoscessimo la via. Silvia, seduta dietro, urlava come una forsennata e implorava di lasciar perdere quel folle guidatore. Io, tra una risata e l’altra, osservavo il panorama, stupendo. Il centro abitato diveniva sempre più piccolo e lontano, mentre salivamo più in alto delle nuvole. La temperatura scendeva, ma in compenso il sole era più luminoso, ora che c’eravamo lasciati alle spalle la nebbia. Immense terre coltivate da ostinati contadini, che a dispetto dell’età continuavano ad arrampicarsi così in alto per accudire piante ed animali, riposavano a destra e a manca. Ulivi a perdita d’occhio in un’atmosfera che sembrava quasi sacra, di quella sacralità con la quale suole abbigliarsi la natura, selvaggia ed incontaminata. Di tracce umane lì ce n’erano, eppure il connubio tra la mano dell’uomo e l’ambiente circostante era sì ben riuscito, che sembrava quanto di più normale potesse esserci.

Ah, se sempre potesse l’uomo andare d’accordo con la natura!

Giunti ad un certo punto, dopo aver salutato la nostra guida, abbiamo proseguito a piedi. Un paio d’ore di cammino, finché non abbiamo deciso di riposare, in una piccola radura. Ci siamo seduti tra le foglie castane, ad osservare le nubi bianche e voluminose più in basso rispetto alla posizione in cui eravamo, che si fingevano un immenso mare bianco, di latte, con le cime dei monti circostanti che sembravano tante piccole isole, solitarie e misteriose. Dopo un po’ il vento ha spazzato via le nubi, e pian piano sotto di noi sono comparsi sparuti ed antichi borghi, senza nomi né età precise.

Quale godimento questa vista! E che emozione!

Dopo la passeggiata per il sentiero, siamo tornati nella camera che abbiamo preso in affitto, per pranzare e poi riposare. Io però, dopo il frugale pasto ho preferito tornare in questo bar, per raccogliere i miei pensieri e trovar occasione di scriverti.

Come ti va la vita? Lo studio il lavoro gli amici la famiglia ti danno soddisfazioni? Non trovi che la forza che riesce ad infonderti la soddisfazione sia talmente potente e duratura da farti sentire colmo di energia e voglia di fare?

Sai, quando ci rivedremo voglio assolutamente passeggiare in montagna con te, voglio osservarti mentre un sorriso esterrefatto si dipinge sul tuo volto solare, voglio guardarti negli occhi mentre tu osservi le meraviglie che popolano le terre fuori città.

Qui, lontano dalla città, io sto benissimo. È una distanza fisica e anche spirituale, che mi dona pace e felicità. Non sarò mai grato abbastanza a queste terre, né comprenderò mai come si possa dimenticare che appena dietro ad ogni paese, anche il più invivibile che ci sia, si erge sempre un monte, che aspetta paziente le visite di pellegrini, vagabondi e inguaribili romantici. Va’ tu anche a scalare il tuo Taburno, e raccontami la tua esperienza.

Aspetto tue notizie. Io troppo presto tornerò a casa.

Un abbraccio,

Cristopher

 

PS: lungo il viaggio di andata ho osservato con tristezza e malinconia innumerevoli alberi di cachi stracolmi di frutti che nessuno ha tempo o voglia di raccogliere. Che pena! E quante riflessioni si sono concentrate nella mia testa! Ma di queste, te ne parlerò con maggiore calma: ho già troppo a lungo prolungato questa mia incursione tra le tue faccende.

Lettera da Sant’Agataultima modifica: 2009-12-04T00:05:00+01:00da carminedecicco
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Un pensiero su “Lettera da Sant’Agata

  1. Mi chiedo chi scriva oggi lettere come queste. Io ho cercato di farlo fino a qualche tempo fa. Siamo in una deriva di non-comunicazione: facebook rimpiazza le mail che già erano il minimalismo del comunicare. Finché qualcuno sente di scrivere lettere, anche solo immginarie, c’è speranza. Buona giornata

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