Gone Baby Gone – recensione

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In Gone Baby Gone è importante il tema delle scelte. Scelte che si offrono ai protagonisti in tutta la loro urgenza e perentorietà, ma di fronte alle quali ciascuno fondamentalmente è solo, se non proprio ostacolato da chi gli è affianco che, in questo film, per quanto può essere prossimo – magari condividendo lo stesso letto – è sempre lontano, inconoscibile, protetto da una barriera difficile da scalfire, barriera forse nata per difendersi dalla durezza della periferia di Boston, città nella quale il film è ambientato, città – o meglio periferia – che rappresenta quella del mondo intero. Ed è così che il giovane detective protagonista della pellicola deve di tanto in tanto ricordare alla propria compagna i sentimenti che nutre per lei, ma nemmeno questo servirà ad evitare l’allontanamento dei due, dopo una sofferta quanto difficile scelta del primo. E se non c’è solidarietà o supporto a facilitare le decisioni, è anche vero che manca qualsiasi autorità o sicurezza morale, in quest’era post-moderna e preoccupante. Nel film non si riesce a distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male, la corruzione si mischia con la giustizia, la vendetta con la rettitudine. E non vi è nessun personaggio totalmente puro e positivo, d’altronde come potrebbe esservi in un quartiere il cui territorio è conteso dai boss come fosse un impero, un impero nel quale gestire il traffico di droga, di prostituzione, dove controllare la micro e macro criminalità. Né bisogna pensare che uscire dalla città, rifugiarsi nella natura, significhi trovare pace e allontanarsi dal peccato. In effetti è proprio nelle campagne, dove del resto, prepotente e meschina, si insinua anche la mano dell’uomo, che si consumano gli inganni, i sotterfugi, le bugie. Che tuttavia possono essere giuste, ora che la giustizia ha perso la propria univocità e si è frammentata in mille cocci e scorre, come i rigagnoli di un estuario, irregolare e faziosa, offrendo scelte diverse, insidiose, illogiche. E scegliere significa restare soli, ed essere soli nella periferia di Boston, metafora della periferia dell’esistenza, non è certo raccomandabile.

Gone Baby Gone – recensioneultima modifica: 2010-01-15T21:58:36+01:00da carminedecicco
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4 pensieri su “Gone Baby Gone – recensione

  1. Non ho visto il film , ma mi sembra di capire che sia una rappresentazione del degrado del tessuto urbano, della società umana delle città. Certo, nei piccoli centri si vive meglio, ma sono le città la fucina delle idee, altrove è solo inerzia temporale, inerzia nel mantenere principi sani ma solo come abitudini, perché il melting pot verso cui necessariamente andiamo trova proprio nei piccoli centri, come ci testimonia la cronaca, i punti di incomprensione e resistenza maggiori. Un saluto

  2. Augurandoti buon fine settimana,
    ti chiedo un piccolo gesto d’amore,
    un sms al n. 48541 per donare 2 euro
    alla stremata popolazione di Haiti
    devastata dal terremoto.
    Una tua goccia d’acqua per formare
    un fiume di solidarietà da tutti noi bloggers.

    Un saluto affettuoso da Giuseppe.

  3. leggendo la tua recensione mi hai fatto venire voglia di vederlo, deve essere davvero un bel film..

    le scelte quante ne facciamo nella nostra vita.,alcune giuste altre un po’ meno, ma alla fine tutte importanti e in grado di modificare se non a volte stravolgere la nostra vita.

    un abbraccio

  4. Indubbiamente in questo film ogni scelta, ogni azione, ogni compromesso ha una ricaduta diretta sui personaggi che in esse sono coinvolti, ma le scelte non sono soltanto il risultato di una logica che tiene conto dei pro e dei contro o di una cristallizzazione del bene e il male, la scelta è anche espressione di un modo di essere che il più delle volte preesiste in uno stato di notevole solitudine pur alimentandosi della complicità di chi lo accoglie ma non per questo lo condivide. Un saluto

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