Klaus

 

I giovani sono magnanimi;

poiché non sono ancora stati umiliati dalla vita,

anzi sono inesperti delle ineluttabilità,

e il ritenersi degni di grandi cose è magnanimità

(Aristotele, Rhetorica)


C’era un maestro,

che pronunciava delle grandi parole,

e c’era un discepolo risuscitato da morte.

(Dostoevskij, I demoni)

 

Anche quella volta Klaus, non appena tornato a casa, si diresse in bagno. La piccola stanza aveva le pareti interamente rivestite di mattonelle bianche, a forma di lucidi quadrati. Al centro dell’ambiente stava un lavabo: proprio ciò di cui aveva bisogno. Aprì il rubinetto e lasciò che l’acqua scorresse sulle sue mani per diversi minuti: due, tre, quattro. Le strofinò con forza, meticoloso ed ossessivo, per evitare di portare qualche germe esterno nel proprio mondo. Quel mondo, il suo mondo, come egli non si stancava di ripetere con un certo orgoglio rivestito di presunzione, si trovava appena al di là dell’angusta camera da bagno. Uno spazio ristretto, ma accogliente ed ospitale. In effetti i più avrebbero trovato inquietante lo stereo sempre accesso a diffondere una musica monotona e stridente, come un gesso che graffia una lavagna, a scuola. E le mura, colme di frasi scritte a penna e matita, di poster, di vecchie foto logore, le maggior parte in bianco e nero, avrebbero stordito chiunque. Ma a lui piacevano. Klaus infatti non era come chiunque altro, era un artista.

Anche Andrea lo sapeva, e lo venerava.


Risuonava quella sera nella mente di Klaus una strana melodia. Canticchiò per qualche minuto fissando il proprio sguardo su ciascuna delle quattro pareti, ricordando in quale occasione avesse scritto questa o quella frase, attaccato quel poster o quella foto. Si sedette poi con pesantezza sulla poltrona di pelle nera, come se il solo guardare e riportare alla mente schegge di passato lo avesse stancato. Guardò quindi dall’enorme finestra la caotica vita della città sottostante: viveva al diciassettesimo piano di un palazzo moderno, grigio ed incolore. Klaus adorava quella finestra che lasciava entrare le luci delle strade, delle automobili, della vita. Da quell’altezza, sembrava che lui potesse dominare tutto ciò che era sotto. Ma in fondo non era sempre così? Non si trovava egli costantemente una spanna sopra tutti gli altri, anche quando non era nella propria camera lì in alto? Certo, era così, e lui non dimenticava mai di ripeterselo.

In fondo lui era un artista.


E proprio per questo, nonostante lui desiderasse Andrea, non aveva stretto alcun legame con la giovane dai capelli rossi e dagli occhi di ghiaccio. In effetti non poteva sprecare il proprio tempo con lei, né con chiunque altro. Doveva restare solo e raccogliere tutte le proprie forze per portare a termine l’obbiettivo che si era prefissato da tempo, per il quale viveva: stava creando la più grande opera d’arte che il mondo avesse mai conosciuto. Un lavoro tanto sublime e ricercato che al confronto tutta quanta l’arte prodotta fino ad allora sarebbe impallidita.


Si alzò di nuovo, inquieto, e si affacciò ancora una volta dalla grossa finestra. Sul marciapiede opposto a quello che costeggiava il palazzo vide un giovane proseguire a passo svelto verso un altro, e abbracciarlo calorosamente. Entrambi sorridevano, felici per chissà quale stupido motivo. Poco dopo, i due furono raggiunti da un terzo. Si avvicinò, li salutò a voce, senza stringer loro la mano o aver altro tipo di contatto fisico. A Klaus parve che gli altri si trovassero a disagio ora che erano stati avvicinati dall’altro e questa scena lo portò indietro di diversi anni, mentre un rossore gli si dipinse sul volto. A metà tra il confuso e l’adirato, staccò i propri occhi dalla finestra e fece per sedersi nuovamente.

Fu allora che lo vide.


«D’ora innanzi tu mi seguirai. Mi starai di fronte come si sta di fronte all’Altissimo, perché io sarò per te l’Altissimo. Sarò il tuo astro, e tu, piccolo scarabeo, contemplerai la mia grandezza. Ubbidirai ai miei comandi, asseconderai sempre la mia Volontà, perché la mia Volontà ti soggiogherà. Bacerai l’orma dei miei piedi ad ogni mio passaggio. Odierai ciò che io odierò, e amerai ciò che io amerò. Ti affannerai per piacermi e per soddisfarmi, ma io risponderò ai tuoi sforzi con indifferenza, e con indifferenza tratterò il tuo rancore, che tuttavia mai avrai il coraggio di manifestarmi apertamente. E quando non avrò più voglia di te, ti allontanerò come un infetto e tu, pur detestandomi e bramando ancora di servirmi, non oserai più infastidirmi».


Klaus ascoltò immobile queste parole ieratiche, pronunciate con forze e lentezza, mentre le unghia delle sue dita sempre più si conficcavano nei palmi delle mani strette a pugno. Un rossore gli si dipinse in volto, era la seconda volta in quella giornata…

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Klausultima modifica: 2010-03-30T09:49:00+02:00da carminedecicco
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5 pensieri su “Klaus

  1. Un racconto molto particolare, molto delicato ma al tempo sesso duro. C’è stato un periodo in cui – da giovane – leggevo molta lettteratura tedesca inizio novecento. Rilke, Hoffmanstahl. Sento questa storia sul filone di quelle, un’atmosfera simile. Un alone di mistero attorno a Klaus e alla sua finetra. Un saluto

  2. Buona Pasqua con amore
    dal profondo del mio cuore.

    Auguri di ulivo, auguri di campane,
    auguri di rondini e di uova colorate.

    Con affetto da Giuseppe.

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