Carmine De Cicco

Cent’anni di solitudine – 10 pagine x 10 libri

 

«Poi, per più di dieci giorni, non rividero il sole. La terra diventò molle e umida, come cenere vulcanica, e la vegetazione fu sempre più insidiosa e si fecero sempre più lontani i trilli degli uccelli e lo schiamazzo delle scimmie, e il mondo diventò triste per sempre». Mi ero ripromesso di leggere “Cent’anni di solitudine” fino a questo punto, quantunque si trovasse a pagina cento, e dunque fuori la portata dell’iniziativa “10 pagine x 10 libri”. Perché? Beh, quando lessi per la prima volta questo romanzo, rimasi affascinato da quelle frasi, e in particolare dall’ultima che ho riportato. Il mondo diventò triste per sempre. Non potevo non inserire il romanzo di Marquez nella mia personale lista dei dieci. Macondo, villaggio felice ed incontaminato, innocente, dove perfino la morte inizialmente aveva timore di entrare, ha a lungo esercitato una forte influenza su di me. Come il colonnello Aureliano Buendía, tanto che fui più volte sul punto di ordinare una t-shirt personalizzata con lo slogan “Aureliano es mi comandante”. Non ricordavo che il primo personaggio ad esser nominato nell’opera fosse proprio lui. Nominato prima di tutti: di suo padre José Arcadio, dello zingaro Melquíades, di sua madre Ursula  Iguaran, di suo fratello José Arcadio. Rileggere le prime pagine di “Cent’anni di solitudine” è stato un po’ come passare a trovare dei parenti cari, che per la distanza non si frequentano molto. È stato come ritornare sui luoghi dell’infanzia, luoghi mitici e primitivi, innocenti. Ripeto nuovamente questo aggettivo, lo riconosco, ma davvero rende appieno l’idea di come fosse il mondo in cui cominciano a vivere i protagonisti del romanzo. Un mondo che subirà poi delle modifiche, con il succedersi delle generazioni, degli Aureliani e degli Arcadii, col trascorrere dei cento anni di solitudine. Ma questo esula dalla lettura delle dieci pagine. Non mi concentrerò dunque sulla trama, né sullo stile semplice e favolistico, sulla potenza del congegno narrativo, che avrebbe potuto continuare all’infinito. Queste non sono recensioni, ma semplici e liberi discorsetti sulle pagine iniziali di grandi opere di ieri o di ieri l’altro. Dunque, in questa sede mi piacerebbe piuttosto provare a fornire una risposta ad una domanda che più volte mi sono posto: perché mi colpì molto l’espressione “Il mondo diventò triste per sempre”? Credo che il motivo risieda nel fascino del momento perentorio. Un momento e tutto cambia. Un istante e il mondo non è più come prima, è triste, triste per sempre. Nella vita di prima – e nella letteratura, la sua sorella al tempo stesso più vera e più finta – un momento poteva dir tanto. Come un incontro, del resto. L’Innominato incontrò Lucia e cambiò, cambiò per sempre. Oggi di quei momenti, di quegli incontri, nemmeno più l’ombra. Nulla è perentorio, nulla è fisso. Non c’è più la gravità di un tempo. Tutto è permesso in questa post-modernità che suona di rotto. Passi avanti e passi indietro, dichiarazioni e smentite, redenzioni e ricadute. In fondo, perché essere irrevocabili quando si può essere superficiali?

Cent’anni di solitudine – 10 pagine x 10 libriultima modifica: 2011-06-19T15:46:00+02:00da
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