Carmine De Cicco

Prossima fermata “Pirandello”

 

 

Oggi mi sono sentito un personaggio pirandelliano. Come se uno dei protagonisti delle novelle dello scrittore siciliano fosse fuggito dalla sua prigione di carta e si fosse impossessato del mio corpo. In effetti ho dato di matto, lo ammetto. Ma anche ora, col senno di poi, continuo ad essere convinto che, in fondo, ho agito bene.

Pochi giorni fa sono stato trasferito nella nuova sede dell’azienda per la quale lavoro. Io e diversi altri impiegati, ovvio. Il trasferimento non è stato molto vantaggioso per me, in quanto a conti fatti il luogo dove lavoro si è allontanato di diverse decine di chilometri. Ma non è certo un problema insormontabile questo. Come non lo è il fatto di dover usufruire di tre mezzi pubblici per raggiungere la nuova sede. Nemmeno se ci troviamo a Napoli, e i mezzi sono brutti, sporchi e sempre in ritardo!

Ora, oltre a me, anche un altro collega deve prendere tre mezzi: viene da Casoria. Nemmeno lui col cambio sede ci è andato troppo bene, visto che prima lavorava a due passi da casa. Ad ogni modo, il primo giorno di lavoro si presenta puntualissimo, lamentando la sua personale “via crucis” per raggiungere il posto di lavoro. Poverino, mi son detto, sta messo peggio di me. Ha parlato di treni-carri da bestiame e di svariate vicissitudini che gli erano capitate lungo il tragitto. Il giorno dopo è arrivato in ritardo – circa un quarto d’ora – ma il responsabile non lo ha rimproverato, tutt’altro. Credo abbia preso particolarmente a cuore la sua causa. La sua odissea personale per raggiungere il posto di lavoro attraversando nella calura estiva l’intera provincia napoletana. Così ha detto. Aggiungendo ch andrebbe premiato per dedizione e volontà.

Non mi hainfastidito il fatto che lui potesse arrivare quindici minuti più tardi di me senza per questo incorrere in rimproveri o sanzioni. Niente affatto. Né l’accondiscendenza del nuovo responsabile nei suoi confronti, le belle parole che ha usato per lui. Ma, dannazione, non ho trovato per niente giusto che il buon casoriano passi per quello che fa più sacrifici per raggiungere il lavoro. Il treno che collega la stazione del mio paese – che, per inciso, dista una ventina di minuti a piedi dalla mia dimora – a quella centrale di Napoli passa ogni mezz’ora, e ora che è iniziato Luglio ancor più raramente. E ci impiega trenta minuti, calcolando l’immancabile ritardo, per farlo. Se tutto va bene. E se tutto va bene la metropolitana la devo aspettare solo cinque minuti. Poi arriva. E a volta attende un quarto d’ora o anche venti minuti prima di partire. Nel frattempo si riempie all’inverosimile. E fa caldo, non c’è aria condizionata – o, quando c’è, è troppo forte – non si respira. Arrivata alla stazione di cambio io scendo, passeggio un po’ tra i cumuli di rifiuti di Napoli e prendo un nuovo treno, il treno più triste del mondo, che fa fermate ogni due minuti ed è lento come se al posto dei cavalli nel motore ci fossero lumache. Per non parlare poi dei ritardi che non vengono annunciati, delle indicazioni che non sono fornite. O fornite troppo tardi, quando sei già nel treno e scopri che contrariamente a quanto indicato va in tutt’altra direzione.

Insomma, ho urlato tutte queste cose al mio capo. In faccia. Non ho chiesto aumenti o tolleranza sul ritardo. Ho rivendicato soltanto il mio diritto di essere trattato come colui che fatica di più per raggiungere il lavoro. Patire tutto ciò che io patisco quotidianamente e vedersi superato in commiserazione altrui da un collega non mi va proprio giù. Se devo metterci ore per giungere a lavoro, se ogni volta devo perdere anni di vita e rischiare la mia salute mentale, beh, almeno che sia riconosciuto!

Ecco, per questo ho dato di matto. Il responsabile mi ha invitato a tornare a casa. Troppo stress, ha detto. Io mi sono incamminato verso la stazione del treno. Che è passato in ritardo…

Prossima fermata “Pirandello”ultima modifica: 2011-07-01T09:10:00+02:00da
Reposta per primo quest’articolo