Il monaco nero – 10 racconti x 10 paesi

«Dove, in che paese o su quale pianeta
gira in questo momento questa insensatezza ottica?»

 

Ecco qualche riga sul primo dei racconti che ho letto per l’iniziativa “10 racconti x 10 paesi”.

Psicologia e filosofia, malattia e follia, elezione di Dio e mediocrità, destino dell’umanità, vita dopo la morte. Temi de Il monaco nero, temi di questo racconto scritto dal russo Anton Pavlovič Čechov (1860 – 1904) nel gennaio del 1894. Un racconto di medie dimensioni, capace però di offrire righe dense di significati, appassionanti e coinvolgenti.
Lo scritto ha diverse velocità. La parte iniziale è molto lenta: il professore di psicologia e filosofia Andrej Vasil’evič Kovrin si reca dai Pesockij, la sua famiglia adottiva, per trascorrere le vacanze estive e approfittare dell’occasione per rimettersi in sesto fisicamente e psicologicamente. L’autore concentra l’attenzione sulle attività di frutticoltori degli ospiti – padre e figlia – e sui loro rapporti con il protagonista. Sembra uno scorcio di vita normale, tranquilla.
Poi, improvviso, imprevisto, l’evento che fa cambiare tutto (il cosiddetto “esordio”, nella tradizionale ripartizione della struttura di un testo narrativo). Kovrin ricorda un’antica leggenda di un monaco nero che gira per il mondo. Non sa perché gli sia tornata in mente questa storia, né da chi l’abbia appresa. Fatto sta che comincia a vedere questa figura nel frutteto dei Pesockij e prende a parlare con lui. Siamo nella parte centrale del racconto, quella più propriamente speculativa, anch’essa lenta: il monaco – non si tratta d’altro che di un’allucinazione – e il professore discorrono amenamente di ogni sorta di argomenti. Il primo fa credere al secondo che le sue allucinazioni siano frutto della genialità. Solo i geni, coloro che fanno procedere più speditamente l’umanità nel proprio percorso, vedono cose che gli altri non vedono. Kovrin è felice ed orgoglioso di ciò, e anche sulla scorta di queste emozioni decide di sposare Tonja, la figlia del proprietario di casa, suo padre adottivo.
La situazione idilliaca non è però destinata a durare. Una notte – comincia così la parte finale del racconto, quella più veloce – mentre riposa accanto alla moglie, il professore vede il monaco nero. Comincia a dialogare con lui, e ciò fa svegliare la donna, che, vedendolo dialogare con una poltrona vuota, ha la conferma di quel che temeva da tempo: il marito è diventato pazzo. Lo spinge quindi a curarsi, e col tempo questi guarisce.
Ma lungi dall’essere fonte di felicità, la guarigione fa sprofondare Kovrin nella mediocrità. Sa di non essere più un genio, bensì una persona triste e volgare, ormai infelice, e non riesce a perdonare moglie e suocero per averlo convinto ad intraprendere le cure. I rapporti tra loro si fanno sempre più tesi finché il protagonista decide di abbandonare la moglie. Si ammala di tisi e, tempo qualche anno, muore, proprio dopo aver letto – neanche per intera, del resto – una lettera in cui la donna che aveva sposato lo maledice. Durante gli ultimi spasimi gli fa compagnia il monaco nero, tornato dopo lungo tempo a trovarlo, che lo consola e gli conferma la sua genialità. Di qui il sorriso beato sul volto del cadavere.

Čechov (che, va detto qui per inciso, fu anche autore di teatro) ha scritto un racconto splendido ed inquietante, coinvolgente e che sa far riflettere. Il lettore viene guidato dalla mano invisibile dell’autore e sente ciò che egli vuol fargli sentire: la mediocrità della vita degli agricoltori opposta alle aspirazioni del professore, la sensazione che la crisi psicologica del protagonista stia distruggendo non solo l’armonia familiare, ma anche gli altri personaggi, e così via, fino alla bella e terribile fine, che poi è anche un inizio, l’inizio dell’amore per lo scrittore russo, autore di questo e altri racconti indimenticabili. Consigli? La Steppa, La corsia numero 6, Il duello, I contadini, Il racconto di uno sconosciuto, solo per fare qualche nome.

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Il monaco nero – 10 racconti x 10 paesiultima modifica: 2012-01-19T10:00:00+01:00da carminedecicco
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9 pensieri su “Il monaco nero – 10 racconti x 10 paesi

  1. Molto bello Carmine questo “doppio” lui e la sua allucinazione..se hai fatto caso sul mio blog scrivo un racconto “La Dama dal viso di Cera” e la struttura e’la stessa..non allucinazioni ma un riflesso di noi stessi..
    Molto bello veramente prendo nota del titolo perche’mi ha incuriosita.
    Amo tanto leggere e scrivere e adoro tutto cio’che e’strano..follia, estro, originalita’,amo il “sottosopra” il diverso..proprio oggi commentavo che i miei registi preferiti sono David Lynch e Tim Burton…particolari e geniali!
    Starei ore a parlare di queste cose.
    Buona serata Carmine

  2. Ho divorato questo tuo post, sai caro Carmine? 😉 D’altronde dall’elenco degli argomenti trattati che hai scritto nelle prime righe, ci sono quasi tutti i miei preferiti eheheh 😀
    Non ho letto il libro e non so se lo leggero’, ma già la tua recensione mi ha detto molto 😉

    p.s.: ho visto che l’ultimo tuo commento da me non è sull’ultimo post… è voluto oppure non vedi l’ultimo? 😐 Hai provato a svuotare la cache del tuo browser? 🙂

  3. Lessi questo libro a scuola o per meglio dire fui obbligato a leggerlo con le conseguenze che ogni obbligo comporta in età adolescenziale. All’epoca non potevo ammettere quello che ora dico serenamente. Ne fui sinceramente coinvolto. Ricordarlo leggendo questo tuo post mi ha fatto un enorme piacere.
    Ciao
    Andrea

  4. Direi che la tua recensione fa capire che è un racconto un pò surreale ma sicuramente intrigante e pieno di spunti di riflessione.

    Un saluto Carmine e buona giornata!

  5. Carmine il mio racconto lo trovi scorrendo il blog nella colonna di sinistra.
    Lo sto’continuando a scrivere quindi e’ancora incompleto e per altro l’ho iniziato da non molto quindi sempre nella fase iniziale.
    Lo scrivo per un bisogno mio personale di esternare cose che mi porto dentro e che sento di dover far uscire da me, dando una “forma” un colore ad ogni mia emozione del remoto passato rimasta intrappolata in me.
    E che mi pesa non poco…..
    In questo racconto Carmine metto l’amore che ho per la scrittura e tanti dolori..ombre..inquietudini..solitudini..paure… non sono una scrittice e non mi ritengo tale, ho solo bisogno di annotare qualcosa a modo mio.
    Un’abbraccio serena giornata.

  6. Una bella recensione di Čechov, e poi essendo stato anche autore teatrale
    mi interessa particolarmente.

    Buon fine settimana Carmine.

    Ciao da Giuseppe.

  7. In anzi tutto grazie per avermi fatto scoprire questo racconto come dici tu splendido! Ho letto prima Cechov, e poi la tua recensione. Devo dire che sono un po indeciso. Per prima ho pensato che Cechov stava elogiando la genialita. E chiaro che il monaco e proprio lui, che fa un discorso con se stesso, e che ammira solo una cosa, il suo ‘essere’. E qui viene un dubbio…ma e davvero un genio… lui versus la mediocrita che lo circonda? Il Monaco (la mente di Kovrin) ad un certo punto pronuncia Socrate, come per paragonarlo a lui. Ma la prima cosa che ti viene in mente di Socrate e il famoso modo di pensare: Io so una cosa sola, di nulla sapere. Kovrin pero, pensa tutto il contrario. Lui e estraneo a questo modo di riflettere, si sente un prescelto, paragona se stesso con Budda, Maometto e Shakespeare…e proprio per questo motivo sembra un po un simbolo dell’arroganza vuota!

    Che dire…il racconto e unico. Concordo con te quando scrivi che e’ capace di offrire righe dense di significati’. Forse Kovrin non era un genio, ma Cechov lo era di sicuro!

    p.s-Ho scritto un po troppo, ma mi e piacuto tanto il racconto, e il scopo delle recensioni e giusto quello di aprire un dibbattito :).

  8. Non preoccuparti di aver scritto troppo, non è vero, e poi è sempre interessante leggere i commenti altrui. Mi è piaciuto il passaggio in cui hai detto: “Forse Kovrin non era un genio, ma Cechov lo era di sicuro”. Pensa che molti non considerano “Il monaco nero” tra i migliori racconti dello scrittore russo, quindi è possibile che tra la sua produzione vi siano opere altrettanto se non più valide. In generale mi colpiscono sempre i racconti densi di significato.
    Di quello in questione è possibile anche un’altra valutazione: Kovrin sa di essere stato malato, perché non ha mai messo in dubbio che doveva essere curato. Però dimostra di preferirsi malato. Insomma, c’è una sorta di cortocircuito tra malattia e sanità, felicità e tristezza.

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