Carmine De Cicco

La grande muraglia – 10 racconti x 10 paesi

«Resistete ancora un po’, perché in fondo non è altro che neve,
vuol farci credere di essere fredda, come fanno le smorfiose,
ma poi finirà per ammorbidirsi e si scioglierà»

 

Terzo appuntamento con “10 racconti x 10 paesi”: questa volta si parla di Ismail Kadare e della grande muraglia cinese al centro del suo scritto. Rispetto agli autori finora affrontati – Čechov e Pessoa – l’albanese Kadare non gode della stessa fama letteraria. Anch’io confesso di incontrarlo per la prima volta nel mio percorso di lettore (o di “ferrarista della letteratura”, citazione creata ad hoc da Cipralex). Si tratta di uno scrittore (classe 1936) nato nel sud dell’Albania e che ora vive in Francia dove continua la sua attività di autore di testi narrativi, saggi e poesie.
Il suo racconto che ho letto è intitolato “La grande muraglia”, un testo che, come è facile intuire, parla della maestosa opera eretta in Cina a partire dal III secolo avanti Cristo, ma anche di altri muri: quello tra il potere e chi lo subisce, quello tra chi è simile per natura ma diverso per colore dell’uniforme, quello tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti. Di mura, del resto, è piena la nostra civiltà. Dall’indimenticabile muro di Berlino alle mura della letteratura carceraria, passando per il muro di Sartre, il concetto di muro inteso ora come limite ora come protezione ha pervaso e pervade scritture, riflessioni e immaginari del giorno d’oggi.
Quello che è al centro del racconto di Kadere (noto come Kadaré in Francia) è un muro antico, che si sgretola e che va ricostruito. Ma non per difendersi dai nomadi, nemici da sempre dalla grande e potente Cina. La ricostruzione della muraglia è parte dell’accordo segreto negoziato tra barbari e cinesi, ed è stata chiesta proprio dai primi. Figuratevi la reazione del sorvegliante Shung, una delle due voci che animano lo scritto, quando lo è venuto a sapere da un non meglio precisato membro della Direzione 22 della Musica. Insomma, lui lì a difendere il proprio paese, timoroso che i nomadi possano attaccare da un giorno all’altro, e i dissoluti e corrotti uomini politici della capitale intenti invece a firmare patti segreti con i nemici.
Nemici, poi, perché? In fondo l’altra voce del racconto, quella del nomade Kutluk, non è poi così diversa da quella del sorvegliante. Insomma, credo di non sbagliare nel definire quello di Kadare come un racconto sull’identità, sull’ipocrisia, sull’arbitrio del potere, racconto che non disdegna di assumere toni storici e nostalgici, che sanno di leggende e rievocazioni collettive, né di fornire un coraggioso punto di vista dell’Aldilà, nel quale il nomade finisce dopo una morte improvvisa quanto inspiegabile, quasi un sacrificio tributato al muro, mentre ne percorreva l’intera estensione per sorvegliare i movimenti avversari.
Uno sguardo che giustamente ridimensiona le attività e le opere dell’uomo (a proposito, non è vero che la Muraglia Cinese è l’unica opera non naturale visibile dallo spazio!), eppure conferma l’amore e l’affetto che gli spiriti serbano per il mondo terreno, tant’è vero che essi vogliono sovente tornarci, e lo farebbero se non fosse per le guardie che lo impediscono. Tra le vittime dell’intransigenza delle sentinelle, anche un tale chiamato Gesù Cristo, conclude Kadare.

Io, invece, concludo con un desiderio e un consiglio. Il desiderio è quello di aver presto l’opportunità di leggere altre opere dello scrittore albanese, il consiglio è quello di avvicinarvi a quest’autore che, tra l’altro, è stato più volte candidato alla selezione finale per il Premio Nobel, ed è considerato ad oggi il massimo portavoce della cultura albanese nel mondo.

La grande muraglia – 10 racconti x 10 paesiultima modifica: 2012-01-27T10:00:00+01:00da
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