I turbamenti del giovane Törless – recensione

 

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Diciamolo subito: I turbamenti del giovane Törless è un romanzo scritto straordinariamente bene, ma affronta temi che possono ancora oggi suscitare turbamento – ovviamente l’aggettivo non è usato a caso – in chi legge.

 

Scritta nel 1906, da un Musil (1880 – 1942) appena ventiseienne, l’opera segue il percorso sentimentale e psicologico di un giovane ragazzo, Törless, allievo in un collegio militare, nel corso di una fase importante della sua vita: quella delle prime pulsioni sessuali, sia verso l’altro sesso che nei confronti di un suo compagno di classe; quella delle prime vere prove di forza e virilità, esercitate però a scapito di chi è più debole e indifeso; quella del definitivo distacco dai genitori, che non saranno più visti con lo sguardo disincantato e ingenuo della fanciullezza.

 

Törless affronta gli eventi a cui prende parte con un atteggiamento ambiguo, ora di repulsione e netta condanna, ora di seduzione e fascinazione. È del resto un giovane che deve ancora formarsi, deve ancora crescere.

 

Egli comunque è un personaggio che non risulta simpatico e non sbaglia chi, al termine del romanzo, lo affianca ai compagni Reiting e Beineberg, che pur rispetto al primo si erano spinti molto oltre nella persecuzione del povero Basini, reo di aver rubato dei soldi per pagare dei debiti e che, scoperto, diventa schiavo, amante, pedina di un gioco perverso dei due ragazzi e del protagonista.

 

Ciò che più desta sgomento nell’opera, al di là delle botte, delle sevizie sessuali, dei ricatti, è l’assenza di pietà che sembra caratterizzare l’intera scolaresca del collegio militare. Insomma, il turbamento psicologico del lettore si origina dal constatare che il male è piuttosto la regola che l’eccezione. Figurarsi l’impressione che fece il volume quando uscì, agli inizi del Novecento. È possibile che l’effetto del libro sia da imputare in parte anche al contrasto tra la splendida prosa dell’autore austriaco – non aliena da inflessioni filosofiche e spiritualistiche – e la brutalità del trattamento della vittima di turno, il povero, martirizzato Basini.

 

Neanche il finale, con l’assoluzione dell’intera classe e l’espulsione del solo ladro, conforta i lettori di sani principi. Törless e i compagni passano come gli eroi che hanno cercato fino in fondo di correggere il loro collega di studi prima di denunciarlo alle autorità, in modo da evitare la sua espulsione. Certo, hanno un po’ esagerato con i sistemi punitivi (ovviamente ai professori sono note le percosse, non certo le umiliazioni sessuali), ma è stata solo una reazione alla mancanza di moralità e allo scherno del Basini che, cito dal testo, «aveva risposto con la peggiore e più volgare ironia ai nobili sentimenti di coloro che intendevano risparmiarlo».

 

 

 

Lungi dall’essere un semplice romanzo di formazione – Törless non sembra concentrato a riconoscere la differenza tra bene e male, e al termine della lettura l’aiuto che offre a Basini non è il dato principale che emerge – I turbamenti del giovane Törless si configurano come un’immersione in una serie di mondi concentrici: quello del collegio, dello stanzino dove il ladro è punito per il suo peccato, quello dell’animo in formazione del protagonista. L’autore – la cui opera è largamente autobiografica – ricostruisce il tormentato costruirsi di una coscienza, lo strappo che avviene tra il giovane adolescente e il giovane adulto, un percorso che non è alieno da aspetti propri de L’origine della specie di darwiniana memoria. A Musil va il plauso per aver, oltre che dato vita ad un’opera interessantissima e di assoluto rilievo nella letteratura del Novecento, contribuito a disvelare il turpe e il marcio che può nascondersi sotto il velo di un istituto formativo per rampolli dell’alta borghesia austriaca, ma in fondo anche mondiale.

 

I turbamenti del giovane Törless – recensioneultima modifica: 2012-03-03T10:00:00+01:00da carminedecicco
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7 pensieri su “I turbamenti del giovane Törless – recensione

  1. Una recensione accurata che sicuramente spinge a leggere questo libro… complimenti!

    Un saluto Carmine e buon fine settimana!

  2. Trovo delle difficoltà nel leggere questo tipo di libri; la lettura deve essere per me fonte si di riflessione ma anche di serenità e pensieri positivi perchè penso che la nostra anima si alimenta dei pensieri che “vive”( anche attraverso la lettura di un romanzo ). Per questo quando compro un libro, di solito, evito storie così tormentate… ma questo, ovviamente, è soltanto una mia scelta personale.

    Un saluto.

  3. Sto leggendo proprio adesso il libro. Mancano poche pagine alla fine. Lo avevo già letto parecchi anni fa.
    E’ un libro relativamente breve, ma lo spessore di contenuti è talmente alto che richiederebbe immediatamente una ulteriore lettura. Concordo con la recensione ed aggiungo che l’aspetto più stupefacente è la capacità dell’autore di descrivere sentimenti e pensieri del protagonista, quasi retropensieri, complessi e ricchi di sfumature. Al di là della vicenda in sè, che può destare turbamento nel lettore, ciò che più mi ha colpito è il collegamento che l’autore riesce a fare quando si parla del Torless giovane adulto, al superamento dell’adolescenza. Credo che stia tutto in quello sguardo verso il passato del protagonista, il nucleo del romanzo, il senso della storia, e forse la morale:
    [Così quando qualcuno a cui egli aveva raccontato la storia della sua giovinezza gli chiese se il ricordo di quell’episodio non lo mettesse mai a disagio, egli rispose sorridendo:- Certo non nego che si sia trattato di un’azione avvilente. E perchè no? L’abiezione è passata. Ma qualcosa è rimastoper sempre: quella piccola quantità di veleno che occorre per liberare l’anima dalla sua salute troppo sicura e compiaciuta e dargliene in cambio una più fine, acuta e comprensiva.]
    Lo trovo un passaggio molto esaustivo ed, in un certo senso, risolutivo dell’intero romanzo.

    Dafne

  4. Ho finito il libro di Musil e, come descrivo nel commento fatto anche sul mio blog libriearte.posterous.com, è affascinante la tesi che scaturisce dal finale, ovvero che a volte il nostro pensiero è insufficiente a spiegare le nostre azioni, così come lo sentiamo insufficiente (il nostro pensiero) quando ci addentriamo nei meandri della matematica più astratta, costretti a dover concepire i così detti “numeri immaginari” per rendere possibili delle deduzioni logiche o arrivare alla risoluzione di problemi. Molto interessante la descrizione di questo specifico senso di inadeguatezza che colpisce l’adolescente e l’attribuzione simbolica che egli dà ai numeri immaginari, che in qualche modo gli svelano una parte del suo animo.

    Dafne

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