X – Il Giudice

 

 

Ci siamo: eccoci giunti all’ultima puntata de “Il Ciclo del Re di Pollena”, la serie di racconti iniziata a metà settembre e protrattasi fino ad oggi, in questo gelido inizio di dicembre. Quasi tre mesi nei quali abbiamo seguito le vicende del Re e di quanti hanno combattuto per sostenerlo o spodestarlo. Qualche giorno fa ci eravamo salutati con uno sparo in direzione del sovrano, in una situazione di estremo pericolo per lui e per i suoi. Nelle righe che seguono scopriremo finalmente il destino del re e di tutti i personaggi del ciclo. Buona lettura. Ps: qui un rinfresco, con la lista di tutti gli episodi precedenti.

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Davanti ad un’aula stracolma il Giudice stava esponendo la sua necessaria e concisa premessa prima di leggere la sentenza, alla quale aveva assicurato di essere giunto lavorando giorno e notte per formularla nel minor tempo possibile. Sebbene fosse snello di corporatura, seduto com’era sull’alto scranno e avvolto nella pesante toga nera, l’uomo destava l’impressione di una grassa imponenza e dignità. Rappresentava pur sempre la Legge, e in quel momento era chiamato a dirimere una delle più intricate e scottanti questioni che avessero mai turbato il reame pollenese. Di tanto in tanto si fermava per fare un sorso d’acqua e battere il martelletto ligneo, come a chiedere silenzio. Non che ce ne fosse bisogno, in realtà. Il pubblico infatti non rumoreggiava per nulla. Quasi tutti erano per lo più sospesi in una sorta di dormiveglia: il preambolo del Giudice, a dispetto di quanto egli stesso aveva dichiarato, andava avanti da oltre un’ora. Anche chi aveva tentato di seguirlo aveva dovuto alzare bandiera bianca davanti ai paroloni del lessico giuridico con i quali il narratore amava infarcire il proprio discorso.

I tre Consiglieri, seduti in prima fila, cercavano più degli altri di mantenere una parvenza di attenzione e buon costume. Quando Salvatore stava per chiudere gli occhi Francesco gli diede un paio di leggere gomitate che riuscirono a ridestare la sua attenzione. Fu allora che il Consigliere si rese conto che il Giudice era arrivato alla ricostruzione della parte finale della festa alla Reggia: l’epilogo del discorso non doveva essere lontano, almeno sperava.

«Quantunque correndo il rischio di incendiare la sala ove tenevasi la regale festa, l’uomo agì mosso dalla lodevole volontà di salvare il sovrano dall’abietto tentativo di regicidio perpetrato ai danni della di lui persona da congiurati senza scrupoli. Ergo, lanciate due fiaccole nell’ampia sala dopo averne effratto la porta, spinto dall’obiettivo di osservare in maniera inappuntabile la scena che temeva stesse svolgendosi nel detto luogo, prese la mira col fucile di precisione che il duca ha dichiarato essergli stato regalato dal nobile genitore, e sparò».

All’udire quella parola, sottolineata da un aumento della tonalità della voce del Giudice, anche l’attenzione degli altri Consiglieri fu di nuovo viva. Ricordavano bene cosa fosse successo: il colpo aveva sfiorato il Re, tenuto fermo dal conte A., e ferito il cameriere che era a fianco ai due e che brandiva un coltello col quale aveva intenzione di uccidere il sovrano. L’arma gli cadde di mano, ma fu lestamente afferrata dall’ispettore Serpico, che nel frattempo era riuscito a liberarsi dell’avversario che aveva invano cercato di impedirgli di portare il proprio soccorso al sovrano. Il conte A. tentò allora una fuga disperata quanto inutile, perché venne bloccato dai Consiglieri liberatisi dai loro assalitori, i quali all’udire lo sparo avevano alzato le mani dichiarando di arrendersi. Salvatore corse immediatamente verso il Re, mentre il duca informò Serpico che anche l’altro notabile, il vecchio Viceré, aveva partecipato alla congiura. Il poliziotto fece riprendere senza troppi complimenti i due agenti speciali che erano stati colpiti e si precipitò con loro sulle tracce del congiurato e dell’ultimo cameriere infiltrato che mancava ancora all’appello.

«Trovava questi due loschi individui intenti a nascondere il corpo del colonnello I. dopo aver colpito il di lui cranio con oggetto contundente reperito nelle successive indagini non lontano dal luogo nel quale era stato vibrato il colpo. L’ispettore capo di polizia procedeva dunque all’arresto del notabile mentre i due agenti si lanciavano all’inseguimento del quinto falso cameriere scoperto in seguito essere uno dei tre malviventi che aveva portato avanti i ripetuti tentativi di furto nelle dimore pollenesi».

Già, tutto quadrava. I cinque camerieri assunti per la festa dal Re sotto consiglio del vecchio Viceré erano i tre uomini ingaggiati dal conte A. per seminare il panico e gettare discredito sul sovrano. Il quarto era colui che da un certo momento in poi li aveva comandati, il giovane dai lunghi capelli biondi che aveva anche invano tentato di mettere fuori gioco Serpico subito dopo che la luce nella sala era mancata. L’ultimo era ovviamente il killer ingaggiato dai congiurati, che già una volta senza successo aveva attentato alla vita del Re.

«Giunta a termine questa breve ma necessaria premessa, in conformità della Legge del Regno di Pollena che io in virtù di Giudice straniero ho il dovere di applicare, emetto la seguente sentenza».

All’udire questa parola l’attenzione dell’intero pubblico fu di nuovo viva. Molti gettarono una fugace occhiata al banco degli imputati, dove sedevano i congiurati e i loro uomini.

«Condanno il conte A– — e il barone F– — alla pena di morte per aver ordito una condanna ai danni del Re. La loro pena è tramutata per grazia dello stesso in carcere a vita».

«Condanno — — ai lavori forzati a vita per aver attentato in due occasioni alla vita del sovrano».

«Condanno — — ai lavori forzati per anni venti per il ruolo svolto nella congiura, per aver guidato la banda di malviventi, per aver tentato di arrecare danno all’ispettore capo di Polizia Serpico».

«Condanno — —, — — e — — ai lavori forzati per anni dieci per aver minato la tranquillità del reame pollenese e per aver arrecato danno agli agenti scelti che accompagnavano Serpico e aver tentato di arrecare danno ai Consiglieri del Viale».

«Condanno il duca — — a anni quindici di arresti domiciliari per aver preso parte alla congiura contro il Re tenendo conto di tutte le attenuanti concesse dalla legge per essere tornato sui suoi passi e aver contribuito in massima parte alla salvezza dello stesso».

«Sospendo il giudizio nei confronti di tutti gli altri congiurati che hanno recitato un ruolo di minor conto in quella che può essere senza dubbio definita la pagina più buia dell’intera storia del regno di Pollena. Si procederà a giudicarli in seguito all’acquisizione di maggiori informazioni sulla di loro condotta».

Un lunghissimo applauso salutò le condanne e la lieta conclusione della vicenda. I Consiglieri si guardarono felici per come tutto era terminato, quindi cercarono con lo sguardo il Re. Lessero nei suoi occhi una profonda gratitudine. Si strinsero le mani soddisfatti, sicuri che Pollena non sarebbe stata sconvolta da nuovi funesti accadimenti per molti anni.

X – Il Giudiceultima modifica: 2012-12-06T23:55:00+01:00da carminedecicco
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