Aung San Suu Kyi e i rohingya

Aung San Suu Kyi ha vinto il Premio Nobel per la Pace nel 1991 «per la sua lotta non violenta per la democrazia e i diritti umani», ma lo ha ritirato soltanto qualche anno fa, quando la sua prigionia è terminata e ha preso il via il percorso che l’ha portata a essere oggi guida del Myanmar, l’ex Birmania, ricoprendo ruoli di prim’ordine come quelli di Consigliere di Stato e di Ministro degli Esteri.

A Oslo, nel 2012, ritirando finalmente il suo riconoscimento, Aung San Suu Kyi pronunciò come consueto un lungo discorso, mettendo in evidenza, tra le altre cose, come «il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di creare un mondo privo di profughi, senzatetto e uomini e donne senza speranza, un mondo in cui ogni angolo sia un vero santuario dove gli abitanti possano avere la libertà e la capacità di vivere in pace». Belle parole, senza alcun dubbio.

Oggi, però, l’ex attivista ed ex prigioniera si trova alla guida di un paese – a maggioranza buddista – il cui esercito sta perseguitando i rohingya, minoranza musulmana considerata dalle autorità un gruppo di immigrati illegali. Da quanto si apprende, oltre mezzo milione di rohingya, soltanto dalla fine di agosto a oggi, sono fuggiti verso il vicino Bangladesh per sfuggire alle atrocità perpetrate nei loro confronti.

Evidentemente gli sforzi del Premio Nobel Aung San Suu Kyi per creare un mondo senza profughi dove tutti siano liberi di vivere in pace non stanno riscuotendo successo.

Aung San Suu Kyi

Fonte foto: profilo Facebook di Aung San Suu Kyi

Aung San Suu Kyi e i rohingyaultima modifica: 2017-10-17T17:19:06+02:00da carminedecicco
Reposta per primo quest’articolo