Carmine De Cicco

Gone Baby Gone – recensione

In Gone Baby Gone è importante il tema delle scelte. Scelte che si offrono ai protagonisti in tutta la loro urgenza e perentorietà, ma di fronte alle quali ciascuno fondamentalmente è solo, se non proprio ostacolato da chi gli è affianco che, in questo film, per quanto può essere prossimo – magari condividendo lo stesso letto – è sempre lontano, inconoscibile, protetto da una barriera difficile da scalfire, barriera forse nata per difendersi dalla durezza della periferia di Boston, città nella quale il film è ambientato, città – o meglio periferia – che rappresenta quella del mondo intero. Ed è così che il giovane detective protagonista della pellicola deve di tanto in tanto ricordare alla propria compagna i sentimenti che nutre per lei, ma nemmeno questo servirà ad evitare l’allontanamento dei due, dopo una sofferta quanto difficile scelta del primo. E se non c’è solidarietà o supporto a facilitare le decisioni, è anche vero che manca qualsiasi autorità o sicurezza morale, in quest’era post-moderna e preoccupante. Nel film non si riesce a distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male, la corruzione si mischia con la giustizia, la vendetta con la rettitudine. E non vi è nessun personaggio totalmente puro e positivo, d’altronde come potrebbe esservi in un quartiere il cui territorio è conteso dai boss come fosse un impero, un impero nel quale gestire il traffico di droga, di prostituzione, dove controllare la micro e macro criminalità. Né bisogna pensare che uscire dalla città, rifugiarsi nella natura, significhi trovare pace e allontanarsi dal peccato. In effetti è proprio nelle campagne, dove del resto, prepotente e meschina, si insinua anche la mano dell’uomo, che si consumano gli inganni, i sotterfugi, le bugie. Che tuttavia possono essere giuste, ora che la giustizia ha perso la propria univocità e si è frammentata in mille cocci e scorre, come i rigagnoli di un estuario, irregolare e faziosa, offrendo scelte diverse, insidiose, illogiche. E scegliere significa restare soli, ed essere soli nella periferia di Boston, metafora della periferia dell’esistenza, non è certo raccomandabile.

Gone Baby Gone – recensioneultima modifica: 2010-01-15T21:58:36+01:00da
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