Carmine De Cicco

Il fuoco del Santo

Amici, vi è mai capitato di perdervi nella muta contemplazione del fuoco? Siete mai stati rapiti – gli occhi pieni del riflesso delle fiamme – dai pensieri che nascono e bruciano quando di fronte o accanto a voi un fuoco, che sia quello del camino, quello di un falò o quello di un incendio, riscalda la notte?
Oh, sì, a me è capitato, e tante volte! Capita anche adesso. Le persone che sono intorno a me quasi non le percepisco: sembrano macchie scure che appaiono dietro a vetri impiastricciati di polvere; la musica delle tammorre e i canti popolari arrivano alle mie orecchie come tenui sussulti incapaci di attirare l’attenzione, melodia di sfondo sulla quale si attesta una sinfonia per ben altri uditi; il gelo che avvolge ogni cosa, che sembra aver acquisito quasi consistenza materica su di me non grava: mi risparmia come una questione troppo prosaica non affligge l’animo del nobiluomo. Mi sento quasi come un anacoreta, un illuminato che riesce a vincere le proprie tentazioni e avanza a grandi falcate nel percorso verso la santità.
Ma forse, amici, questa mia attrazione nei confronti delle fiamme che ardono nel buio delle tenebre di metà gennaio ha qualcosa di meno nobile e trascendente. Non estasi, non santità, ma ricordi della fanciullezza, mezzo per rivivere la magia ingenua che un fuoco sprigiona col suo calore, con la sua luce, con la sua forza. Il fuoco può essere amico e salvezza, ma al tempo stesso pericolo terribile…
Oh, sapeste che turbinio di impressioni mi avvince in questo momento. La realtà mi arriva come minima, breve, insignificante interferenza: il chiacchierio della gente, le immagini di uomini e donne incappottati con cura, l’odore della carne che cuoce, la neve che timida imbianca la cima del Vesuvio. No, non posso staccare gli occhi dalle fiamme per più di un attimo. Calamitano la mia attenzione, la mia passione. Sento il mio spirito in quella forza cieca e irrazionale che arde, che consuma, che degrada l’energia e la disperde. Il fuoco è volontà di potenza, e al tempo stesso rappresentazione: avverto questo fuoco affine agli altri fuochi, a tutti i ceppi accesi per Sant’Antuono, a tutti i fuocarazzi che i bambini, prese in prestito le fascine dagli ignari contadini, hanno allestito nei loro giardini. Ma così grande è la forza di queste fiamme, che nella sua contemplazione mi sovvengono tutti i roghi del mondo e della storia. Roghi di purificazione, di punizione, roghi di libri. Incendi di guerra, incendi di passione. Fiamme del peccato, fiamme dell’inferno, frecce infuocate, danze sacre intorno ai roghi. Fiaccole torce candele ceri.
Certo, anche questo fuoco si consumerà, su di esso si poserà dapprima la notte, animale furtivo appostato a debita distanza, ma pronto a balzare sulla cenere quando è ancora ardente, e poi il gelo, l’inesorabile gelo portato dai Mercanti della neve.

Certo, si spegnerà anche questo falò, ma, che siano quelle reali o quelle metaforiche delle passioni, la vita stessa per vivere chiederà nuovamente le fiamme. E una mano, tremante o sicura, tornerà ad accendere un fuoco…

Il fuoco del Santoultima modifica: 2012-01-17T09:34:00+01:00da
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