Carmine De Cicco

Fuocarazzo

Carmine chiuse il pesante portone di casa dietro di sé e si lasciò illuminare dal freddo sole di Gennaio. In cielo non c’erano nuvole.

Dopo una decina di minuti, il bambino era in sella alla sua bicicletta e pedalava lungo la strada poco trafficata in fila indiana con altre tre bici. Dietro di lui Francesco e Salvatore, davanti Davide, con la sua Graziella azzurra. I quattro stavano appena cominciando a sudare quando giunsero alla loro meta: la grossa campagna vicino alla cava di terreno. Lasciarono le bici appoggiate a qualche tronco robusto degli albicocchi spogli, quindi cominciarono ad avanzare a piedi tra l’erba alta e le foglie secche cadute.

«Facciamo attenzione».

Dopo un paio di minuti e dopo essersi completamente inzaccherati le scarpe e i lembi dei jeans, trovarono ciò che cercavano: decine e decine di fascine sistemate le une sulle altre accanto ad una piccola capanna di legno.

«Se siamo fortunati, non c’è nessuno a custodirle».

I quattro si guardarono negli occhi, come per darsi coraggio, poi si affrettarono verso il luogo del tesoro, camminando non lungo quella specie di sentiero che conduceva alla capanna, ma nella terra affianco, che piena com’era di alberi da frutto offriva più di un valido nascondiglio.

Quando furono vicini alle fascine, si assicurarono di essere davvero soli.

«Ho sentito dire che alcuni contadini sparano alle persone che beccano a rubare».

«Ma noi siamo bambini!».

«Sì, al massimo prendiamo qualche schiaffo».

Concordato ragionevolmente il massimo della pena per il reato che stavano per commettere, i bambini presero una fascina ciascuno, e ritornarono a percorrere la stessa strada della quale erano venuti.

 

Nella capanna un uomo li osservava, sorridendo tra sé e sé. Tra qualche secondo sarebbe uscito fuori e avrebbe urlato. Per ora, però, si godeva i maldestri tentativi dei quattro ladruncoli di portar via le fascine in maniera svelta ma silenziosa.

«Fermi!» gridò, alzandosi in piedi e abbandonando il luogo nel quale era rimasto nascosto. Vide i bambini correre veloci, pur tenendo stretti a loro i mazzi di rami che avevano trafugato.

Non li rincorse, in fondo anch’essi avevano diritto ad accendere il loro fuocarazzo.

Quando vide che i quattro erano saliti a bordo delle loro bici, imprecò a gran voce ma col sorriso sulle labbra, poi rientrò nella capanna e baciò allegro l’effige di Sant’Antonio Abate appesa ad una delle fragili pareti: anche quell’anno aveva “offerto” un po’ di legna ai bambini cosicché un ulteriore fuoco propiziatorio fosse acceso per il santo nella sera del 17 Gennaio.

Fuocarazzoultima modifica: 2011-01-17T17:47:27+01:00da
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