Carmine De Cicco

La masseria abbandonata

 

Quando zia Nunzia passò davanti alla masseria nella quale aveva trascorso l’intera sua infanzia e gioventù, non poté fare a meno di interrompere il dialogo tra il nipote e suo marito:

«Che tristezza vederla così abbandonata».

Carlo fissò lo specchietto sinistro della vettura che guidava e vi vide ritratto un grosso cancello rosso, arrugginito, che si ergeva al termine di un lungo viale asfaltato, ma pieno di buche e immondizia. Ai lati del cancello, la ringhiera che circondava l’ampio giardino, o meglio, ciò che restava di esso, era completamente coperta da erbaccia e rami che, non tagliati a dovere, avevano proseguito la loro prepotente crescita in tutta libertà e arroganza.

«Perché sta così?» domandò alla zia, trasferendo il proprio sguardo nello specchietto retrovisore, dove vide formarsi il volto rugoso e gli occhi stanchi della sorella di suo padre. Suo zio, seduto sul sedile anteriore destinato ai passeggeri, gettò uno sbuffo di disapprovazione.

«Gli otto figli del vecchio proprietario non riescono a mettersi d’accordo tra loro su come dividersi la terra e la casa».

«Stanno in causa» aggiunse zio Raffaele, con una nota di disapprovazione nella voce.

«Un vero peccato» gli fece eco il nipote. «Era bella, vero?».

«Quando abitavamo noi, la tenevamo come un gioiello» rispose la donna. Il noi, ovviamente, era riferito a lei, alle sue sorelle, ai suoi fratelli, e ai loro genitori, che ora non c’erano più. Cominciò a ricordare qui tempi…


Allora il viale d’ingresso era tenuto in perfetto ordine. Neanche d’Autunno, quando le foglie degli alberi che lo costeggiavano cadevano, esso appariva disordinato e sciatto. Ogni giorno veniva spazzato e di tanto in tanto si effettuavano opere di piccola manutenzione per tenere in forma l’asfalto. Le piante secche venivano regolarmente sostituite da altre più giovani, che crescevano forti e robuste.

All’interno delle mura domestiche, Nunzia, sua madre e le sue sorelle pulivano di continuo. Niente di tutti quei prodotti moderi, ma tanta acqua e un solo tipo di detergente. Per i panni un po’ di sapone di Marsiglia. Nessuna lavastoviglie, lavatrice o aspirapolvere: tutto a mano, con cura e pazienza.

Finite le faccende domestiche, poi, le donne si incamminavano verso l’ampio appezzamento di terra che si stendeva dietro la dimora, per aiutare gli uomini. La terra custodiva gelosa albicocchi, ulivi e vigne. C’era sempre qualche coltivazione che, ora timida, ora rigogliosa, faceva bella mostra di sé.

Tutti i mesi c’era qualcosa di nuovo da seminare: patate, broccoli, insalata, zucche, pomodori. Ogni mese frutti da raccogliere, da vendere. D’inverno, poi, si tagliava la legna che si rivendeva ai proprietari delle piccole villette vicine. Fruttava bene.

C’erano anche gli animali da allevare: i conigli, le galline e i polli, talvolta qualche maiale: tutti venivano trattati con amore e rispetto che serviva loro da ricompensa anticipata per il sacrificio finale che gli si chiedeva.

Nunzia ricordava anche i pranzi domenicali – come dimenticarli! – che sembravano quasi una festa…


«Zia?».

Tornata alla realtà, la donna si vide l’espressione interrogativa del nipote puntata sul volto.

«Siamo arrivati. Ma stai bene?».

Si girò alla propria destra, riconoscendo l’anonimo palazzone grigio nel quale ora abitava insieme al marito. L’appartamento era piccolo – del resto, non avevano figli – e la zona periferica della città sempre trafficata e rumorosa. Non c’erano spazi verdi, solo qualche sparuto albero che malinconico cresceva su marciapiedi malridotti.

«Sto bene. O meglio, no…ma passerà» disse la donna senza entusiasmo mentre scendeva dall’auto. Riuscì a nascondere la lacrima che le rigava il volto.

La masseria abbandonataultima modifica: 2010-12-04T09:33:12+01:00da
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