La prova

 

Il piccolo Jimmy attraversò rapidamente la polverosa strada principale, svoltò verso destra, e dopo uno sguardo veloce e spaventato gettato sulla “villetta delle more”, dopo aver a lungo combattuto con se stesso e con le proprie paure, arrivò finalmente a destinazione. Il luogo stabilito come sede dell’incontro era ancora deserto, gli altri membri del gruppo erano in ritardo, o forse era lui ad essere in anticipo. Più probabile quest’ultima ipotesi, certo. In effetti era così impaziente, così desideroso che si concretizzasse finalmente ciò che a lungo era stato procrastinato, da essere uscito dalla propria casa con largo anticipo. Nell’attesa, seduto su una staccionata di legno malsicura, di tanto in tanto, osservava la villetta, che incuteva, a lui e a tutti gli abitanti del villaggio, grosso timore. Doveva il suo nome agli innumerevoli rovi di more che si estendevano sul suolo del piccolo giardino antistante ad essa. La casa era grossa, estesa su due piani, ma sempre con le finestre serrate. Nessuno aveva mai visto il proprietario, né fuori dalla casa, né dentro. Nessun comitato di benvenuto si era preso la briga di recarsi in visita da lui. Era come se vivesse in un mondo a parte. Il mondo dei vampiri. La maggior parte degli abitanti del posto questo pensava, loro, così facilmente suggestionabili. I bambini, poi, quanta paura ne avevano! Ma nello stesso tempo erano attratti da quel luogo, desiderosi di scorgere il volto dell’uomo, di svelare l’arcano.


La muta contemplazione di Jimmy fu interrotta dall’arrivo dei suoi amici, che gli intimarono di seguirlo. «Ora ti bendiamo, solo i membri più importanti del gruppo possono conoscere l’esatta posizione del rifugio, e se tu stasera fallisci…».

Il ragazzo si lasciò docilmente avvolgere il capo da una benda nera, cominciandosi a concentrare per la prova imminente. Circa un anno prima, era riuscito ad entrare in quel gruppo, ma ne era sempre restato ai margini, per via dell’età. Ora, pochi giorni dopo il suo compleanno, aveva l’occasione di fare un balzo in avanti nella gerarchia, di essere ammesso nel cenacolo della gente che davvero contava nel gruppo. Ignorava quale fosse la prova da superare, ma era ottimista sulle proprie possibilità. Camminarono per circa un quarto d’ora, dopodiché fu liberato dalla benda, e cominciò a guardarsi intorno, mentre il capo dettava le regole. Avrebbe dovuto resistere un’intera notte da solo fuori casa, sarebbe dovuto entrare nella tenuta del vecchio O’Briann, rubare una grossa mela ancora verde, e sistemarla sulla tomba del piccolo Dick, nel vicino cimitero.

Deglutì, mentre il suo ottimismo fu spazzato via come una foglia autunnale da una forte folata di vento. Jimmy viveva con i nonni, che di certo non si sarebbero preoccupati se per un’intera notte non fosse rincasato. Qualche scusa l’avrebbe trovata. Avevano altre paure, loro. Raccontavano spesso al nipote come, dopo il tramonto, insieme alle tenebre, calassero sulla terra anche gli spiriti senza pace, che amavano riunirsi nella parte alta del villaggio, presso il cimitero, e parlare fitto fitto tra loro, cantare tristi melodie, recarsi a visitare le proprie tombe. Non erano cattivi, ma non volevano assolutamente essere visti dagli uomini, e se ciò accadeva, essi si infuriavano e tormentavano per la vita intera chi avesse commesso lo sproposito di fermarsi a guardarli. Oltre a queste entità, ve ne erano anche altre, ben più terribili, che si divertivano a tormentare i passanti, a spaventarli, malmenarli. Rabbrividì, ma depose le proprie ubbie momentaneamente e accettò di sottoporsi alla prova.


Gli altri aspettarono con lui incoraggiandolo finché il sole non si nascose tra le colline lontane e, lenta ma inesorabile, cominciò a scendere la notte. Gli amici lo abbandonarono, dopo avergli augurato buona fortuna, e dopo avergli assicurato che avrebbero inventato qualche bugia per giustificare la sua assenza ai suoi nonni. Jimmy ascoltò i passi dei ragazzi allontanarsi e affievolirsi, sentì, lontani, i canti dei contadini rincasare. Poi, la notte cominciò a far sentire la propria voce, fatta di fruscii tra le piante, di erba calpestata da non si sa chi, fatta di latrati lontani di cani, di versacci di uccelli notturni, di scricchiolii di alberi. Di voci di morte. Quella sera, inoltre, si aggiungeva il tremolio di Jimmy, il rumore prodotto dai suoi denti che battevano. Non per il freddo, certo. Il ragazzo ammise di aver paura, tanta paura. Rimase immobile per quelle che a lui parvero diverse eternità, paralizzato dall’apprensione.


Poi, si rese conto che più tardava, più la missione si complicava, per via delle luci delle case, che si sarebbero spente, come del resto alcune avevano già fatto. Guardò il cielo, poche stelle, ma almeno la luna era piena. Almeno? Si diede dello stupido, e ripensò contro la sua volontà a tutti i racconti che la vedova Doran gli aveva narrato sui lupi mannari. Si disse che erano storie inventate dalla vecchia donna, impazzita per la morte precoce del marito, ma poi la sua mente venne invasa da quell’immagine. La porta del retro della casa della vedova era piena di graffi enormi, che certo un normale uomo non avrebbe potuto compiere. È stato un lupo mannaro, diceva la vecchia. Il ragazzo non riuscì a trovare una prova altrettanto valida che attestasse la mendacità delle asserzioni della donna.


Tremava ancora, tuttavia prese a camminare in direzione della tenuta O’Briann. Si muoveva molto lentamente, cercando di respirare più cautamente possibile, temendo che un rumore estraneo, o un forte spostamento d’aria, potesse destare l’attenzione di spiriti e altre entità. E di lupi mannari, aggiunse, preoccupato. Pensò al fatto che i meli si trovavano dietro la casa patronale, vicino alle stalle, nella parte più lontana dal basso muretto in pietra che avrebbe dovuto scavalcare per intrufolarsi nella proprietà del vecchio. Maledisse i suoi amici, lo avevano fatto apposta! Non avrebbero potuto scegliere un frutto che cresceva su un albero più lontano dalla casa e più vicino al muro di cinta? Ad ogni modo, lo scavalcò lesto, e, felice che le luci fossero già state spente, cautamente puntò verso il retro. Quando fu vicino alla pianta, non poté fare a meno di aumentare la velocità dei propri passi. Saltò per afferrare una mela poco matura, ci riuscì, ma la sua felicità per aver portato a termine quella prima parte della prova svanì quando si rese conto di essere osservato da una giovane donna. Quella portava un bianco vestito, e mille paure con sé. Non era la moglie del burbero padrone di casa, né la figlia, visto che questi non ne aveva. Forse era lo spirito di una giovane ragazza che, affamata, si era intromessa nella proprietà del vecchio, ed era da lui stata uccisa. Jimmy non voleva fare la sua stessa fine. Scappò prima ancora che quella si mettesse ad urlare, come in effetti fece. Nella casa una luce si accese, nel suo cuore, un’altra, enorme, paura. Inciampò sull’erba, si ridestò, i suoi polmoni respiravano aria putrefatta, trepidazione, erba e terriccio.


Continuò la sua corsa anche dopo aver abbandonato la tenuta. Chissà quanti esseri immondi stava attirando su di sé, pensò, e solo allora decise di fermarsi, dopo aver stabilito che i metri di distanza messi tra lui e quello spirito fossero sufficienti.

Fu tentato dal rincasare, dal rifugiarsi nel caldo letto matrimoniale dei nonni. Immaginò però le beffe che di lui si sarebbero fatti gli amici, e ciò lo fece desistere dal tradurre in atto quell’idea. Si incamminò verso il cimitero, allora, colla stessa risolutezza di chi è costretto ad offrire in sacrificio il proprio figlio a Dio. Che contrasto vi era tra la calma della notte, dispensatrice di consigli per gli abitanti del luogo e latrice di riposo per i contadini, e la mente del piccolo ragazzo, in preda a convulsive paure. Dopo qualche minuto fu al cimitero, e scavalcò il cancello pesante di ferro. Non fece rumore alcuno, tuttavia la sua estrema accortezza a nulla servì. Infatti, tra le tombe in fondo a sinistra, illuminati dalla debole luce di qualche cero e da qualche stella curiosa, si muovevano tre spiriti, o uomini in carne ed ossa, Jimmy non fu in grado di stabilirlo.

Certo, pensò, non stanno a fare nulla di buono. Fu nuovamente tentato dal desistere, ma immaginando la gloria dell’indomani se fosse risultato vincitore, decise di proseguire nel buio i propri passi. La tomba era all’estremità destra del campo. Dick era morto all’età di tre anni, stroncato da una malattia che, se individuata prima, sarebbe potuta essere curata. Si diceva che il piccolo defunto, ogni notte, abbandonasse la propria zolla di terra e si recasse a torturare il medico responsabile dell’errore.

Bugie.


Jimmy, infine, arrivò. Prese la mela, che emanava un forte odore fresco che non si confondeva tra quelli dei crisantemi e della cera disciolta. La posò sulla lapide che recitava la tristezza della vita del bimbo, e decise di correre via. Non fece nemmeno dieci passi, si fermò, tornò indietro. Voleva almeno baciare la foto di Dick. La sua pietà, la sua religione, lo condusse a un passo falso. Guardando la tomba, non scorse più alcuna traccia della mela. In compenso vide forse una mano uscire dalla terra. Ne era sicuro? No, certo che no, ma ad ogni modo fu preso da un’immensa paura. Agghiacciato e immobile, si disse che quella mano era solo un frutto della propria immaginazione, ma in quel frangente non era tanto d’accordo con se stesso. Il processo di auto-convincimento fu interrotto dal latrato di un cane. Gettò un grido che si diffuse, rapido e stentoreo, tra le tenebre. I tre uomini-spiriti, destati, abbandonarono la loro posizione, e cominciarono a correre verso di lui. Il suo cuore parve fermarsi, incapace di battere. Non voleva continuare una vita che si sarebbe conclusa con un’atroce tortura. Ma l’istinto di sopravvivenza fu più forte. Iniziò la fuga, scavalcò veloce e lesto il cancello, che questa volta emise qualche scricchiolio.

Non importava, voleva tornare a casa. Correva, pregava, sentiva che quelli gli erano ancora dietro, pregava, piangeva. Finalmente entrò nella parte bassa del villaggio, la più sicura. Un’unica luce era accesa, nel piano inferiore di una casa. Si recò lì, ansioso di chiedere aiuto. Ecco, si avvicinava sempre di più verso la propria salvezza. Era nel giardino, ora davanti al portone. Bussò. La porta si aprì, e ancora tremante, Jimmy entrò. Richiudendo la porta dietro di sé, aveva lasciato fuori una notte di paure e superstizioni, una notte di spiriti e misteri. Una notte come tutte le altre, in fondo. Non si accorse, però, che la porta appena chiusa fungeva da ingresso della “villetta delle more”, la casa di colui che abitualmente era chiamato da tutti vampiro.

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La provaultima modifica: 2009-02-25T16:39:00+01:00da carminedecicco
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2 pensieri su “La prova

  1. terrificante
    nel senso buono del termine

    mi ha messo paura
    che era lo scopo del racconto

    adesso accenderò la luce per salire le scale
    ahahahah
    scherzo però il racconto mi è piaciuto molto
    ciao Carmine e grazie per il gradito passaggio
    a presto

  2. Però…bravo! Mi è piaciuto parecchio questo racconto! Decisamente agghiacciante e nello stesso tempo coinvolgente….hai grande fantasia e un notevole talento nello scrivere,te l’ho sempre detto…Complimenti!

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