Il vino dei fratelli

 

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Quando Mauro arrivò, il cielo ottobrino stava già cambiando colore. Rapidamente il sole, che ormai si nascondeva dietro le case più alte, sarebbe scomparso del tutto, e le tenebre avrebbero preso il sopravvento sull’azzurro pezzato di nuvoloni bianchi che aveva dominato fino ad allora.

«Buonasera» disse con impacciata allegria l’uomo, rivolto alla figura robusta ma leggermente incurvata che stava trafficando all’incerta luce di un neon nella vecchia cantina.

Questi si fermò e rispose al saluto, poi continuò nella sua occupazione. Ad un’occhiata più attenta Mauro capì che il fratello stava spostando cassettini di frutta e tozzi pezzi di legno per liberare il centro del locale e far spazio al torchio che di lì a poco avrebbero usato.

Mauro lamentò il proprio dolore di schiena prima di mettersi di buona lena a lavoro per aiutare l’altro. Di tanto in tanto gli chiedeva qualche indicazione su dove riporre il cassettino con le noci e quello con le melanzane pungigliose, dove posare le zucche tonde e lunghe che affollavano la cantina e come sistemare i pezzi di legno ammassati con previdenza in vista del freddo.

La faccenda andava avanti da una decina di minuti quando i due vennero interrotti da un nuovo arrivo.

«Buonasera» salutò Paolo con un sorriso aperto, gioviale. «Già vi siete messi all’opera?» domandò quindi il maggiore dei fratelli. Il suo tono aveva un che di canzonatorio.

Mauro, da burbero qual era, preferì non rispondere e continuò a far spazio all’attrezzo che avrebbero usato per pigiare le uve raccolte un paio di settimane prima. Antonio raccontò ad entrambi i fratelli dell’ultima potatura che aveva fatto in un grosso appezzamento di terra, sulla montagna. Si era distrutto dalla fatica, ma aveva potuto ammirare un panorama stupendo, lavorando in quota tra ciliegi e albicocchi, con la vista del mare laggiù, in basso.

«Perché non sposti il treruote, così recuperiamo spazio?» chiese Paolo. Antonio annuì, poi lentamente si avviò verso il veicolo e lo guidò fuori dalla cantina. Lo parcheggiò in modo che l’ultimo dei fratelli, Armando, nel frattempo sopraggiunto, non avesse problemi a sostare.

Quando furono al completo si avviarono verso il cucinino in disuso che comunicava con la cantina. Era lì che riposava in due grossi contenitori l’uva bianca e l’uva rossa che Antonio aveva raccolto nelle sue terre.

«Che bell’odore» disse l’ultimo arrivato appena mise piede nella stanza, ispirando a pieni polmoni l’odore dei chicchi lasciati a riposare al buio, lontano dal sole. Pensò un attimo a quanto tempo era trascorso dal suo precedente ingresso laggiù. Non lo ricordò, ma poté ben notare come, a parte i due grossi contenitori, nulla era cambiato da allora. Sul vecchio, basso frigorifero staccato dalla corrente erano sempre sistemate le foto dei loro genitori, solo più impolverate di un tempo.

«Perché non le porti sopra?» domandò al padrone di casa.

«Le ho pure sopra» rispose semplicemente l’altro.

I quattro uomini si accordarono su come procedere per spostare i pesanti contenitori, quindi si misero all’opera. L’odore dell’uva cominciò ad insinuarsi anche nella cantina e il suo profumo intenso rese più sopportabile il peso. Quando terminarono il loro sforzo tutti e quattro si  portarono una mano alla schiena, per massaggiarla nell’illusione di poter lenire così gli acciacchi appena risvegliati.

«E meno male che ho finito di lavorare!» protestò Mauro, come arrabbiato. In cuor suo, però, ripensò a quando, ancora vivo il padre, ogni inizio autunno, puntuale, si ripeteva il rito del vino. Scoprì di essere ancora indissolubilmente legato a quei ricordi.

Il vino dei fratelliultima modifica: 2012-10-27T10:49:00+02:00da carminedecicco
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