Il Natale della signora Maria

 

 

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Erano trascorsi due anni dall’ultima volta che ero salito per quell’angusta scala, completamente immersa nel buio. Gli scaffali poggiati accanto al muro custodivano ancora pacchi di calze e qualche stecca di sigarette, reperti di una vita che fu, passata troppo in fretta. Quando raggiunsi la camera da letto fui sorpreso dal freddo dell’ambiente: non ricordavo che lassù la temperatura fosse tanto bassa. Continuando a camminare pressoché nel buio raggiunsi il piccolo comodino accanto al grande letto matrimoniale. Mi sedetti sopra e cominciai a guardare il volto di mia nonna: dormiva ancora, i miei passi furtivi non l’avevano svegliata. Riconobbi vecchie rughe e feci la conoscenza con i nuovi segni del tempo impressi sul suo viso. Sembrava calma e senza pensieri, ma decisi lo stesso di prendere una coperta e aggiungerla alle altre che coprivano il suo corpodisteso sul materasso. Mi alzai, attento ancora a non fare rumore, e mi diressi dove ricordavo fossero le coperte: erano ancora lì, come immaginavo. Ne presi una e con dolcezza gliela misi addosso.

 

Non credo si svegliò per questo.

 

«Nonna, sono io» le dissi subito, per evitarle uno spavento.

 

Lei aprì gli occhi d’istinto, anche se, quasi cieca com’era, non si trattava di una mossa molto efficace.

 

«Chi è?» mi chiese ignorando la mia presentazione. Parlò con la sua solita voce, forse leggermente più affaticata di un tempo.

 

 

Pianse quando mi riconobbe. Le raccontai di me con poche parole, comunque non sufficienti a colmare i lunghi mesi trascorsi a distanza, con rade telefonate per aggiornarci sulla nostra salute. Le dissi che appena tornato ero passato da lei: ne fu davvero felice. Si lamentò del fatto che non riuscisse a vedere com’ero diventato.

 

Non collegò il motivo della mia visita alle imminenti festività natalizie, quindi fui io a chiarirlo: «Sono tornato per Natale. Il 25 pranzerò con te, proprio come una volta».

 

Mi chiese contenta se davvero rimanessi fino a Natale. Non sapeva o non ricordava che mancavano appena un paio di giorni alla Vigilia. Le accarezzai la mano mentre fui invaso da un’intensa tristezza. Non ricordava più nulla, mia nonna, non vedeva più nulla. Lei che mi aveva cresciuto, lei che aveva portato avanti l’attività di famiglia, ora trascorreva la maggior parte delle sue giornate nel letto, scendeva in cucina quasi solo per mangiare, e quando cercava di ricordare il passato faceva una gran confusione. E non sapeva quanti giorni mancassero a Natale.

 

Quando ero bambino mi aiutava lei a tener il conto delle giornate di scuola rimanenti prima dell’inizio delle vacanze scolastiche e dell’arrivo di Babbo Natale. E poi, quando arrivava il 25, mi faceva sempre un gran regalo.

 

«Tra qualche giorno è Natale» le spiegai con calma, vedendo comparire sul suo volto prima stupore e poi tristezza.

 

«Già?» mi domandò dubbiosa. Le diedi conferma, poi l’aiutai a tirarsi su con le spalle. Quando si sistemò prese a raccontarmi di quando era bambina e trascorreva le festività natalizie ancora nella vecchia casa. Ben presto la storia, però, cambiò direzione e ospitò personaggi ed episodi che spazio e tempo non potevano far stare insieme. Sorrisi, finché non prese a ripetermi più volte le stesse frasi, sempre nello stesso ordine, ma talvolta con particolari nuovi o mancanti.

 

«Che dici di scendere?» le domandai, anche per metter fine a quel racconto strampalato che mi stava facendo soffrire.

 

«Ho freddo» fu la sua risposta, del resto prevedibile.

 

«Giù c’è la stufa. Ci sediamo sul divano, ce la mettiamo vicino e scegliamo cosa mangiare a Natale».

 

«Perché, sta già arrivando Natale?».

 

Sì, stava già arrivando, e io ero tornato per trascorrerlo in famiglia, proprio come un tempo. Solo che il tempo, insensibile, si era dato parecchio da fare durante la mia assenza. Le risposi con dolcezza, quindi le diedi una mano a mettersi in piedi.

 

Il Natale della signora Mariaultima modifica: 2012-12-11T10:37:00+01:00da carminedecicco
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