L’Autunno in città – parte seconda

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123.jpgUna mano passata sulla fronte, sfiorando le sopracciglia, per poi finire sugli occhi, ad accarezzarli per donargli sollievo. La ragazza rimase ancora un po’ con le palpebre abbassate mentre riponeva la sua mano sinistra sulla tastiera del computer che le stava davanti. Quando le rialzò, si rese conto che a nulla le era servita quella piccola, breve pausa: continuavano a dolerle. Ciò nonostante, riprese a navigare in internet, alla ricerca di qualche notizia dell’ultim’ora. Ma si sentiva davvero stanca ed annoiata! Era quasi finito il suo turno nella redazione del giornale per il quale lavorava, ma proprio ora che la lancetta piccola dell’orologio a muro stava per raggiungere quel numero che aveva rincorso per l’intero giorno, il suo passo sembrava essere stato rallentato. Sbuffò, pensando che il direttore della testata sarebbe di certo stato capace di acquistare orologi truccati pur di far lavorare di più i propri dipendenti. “Che teoria assurda!”, si apostrofò da sola la giovane un attimo dopo: aveva appena controllato l’ora sul monitor e sullo schermo del proprio telefono cellulare. Riprese a leggere titoli di articoli che le sembravano interessanti, ma ciò che più le mancava non erano le notizie, ma la voglia di leggere i pezzi per intero e rielaborarli per produrne uno proprio, da inserire sul sito del giornale. Fu facile, quindi, per la sua mente vagare per le disparate strade della memoria, dove gli eventi della sua vita passata riposavano tranquilli, in attesa di visite. Si incamminò per una via da tempo disertata, il cui percorso le era stato rivelato da qualche parola letta con poca attenzione in qualche articolo di cronaca. 1234.JPGPercorrendo quella strada, ritornò bambina, quando, pochi giorni dopo il suo decimo compleanno, prese l’abitudine di trascorrere i dolci pomeriggi autunnali in giro per il parco nel quale abitava con la sua famiglia, facendo domande ai passanti sui più svariati argomenti. Aveva con sé un microfono rosso, di plastica – un regalo dei genitori – che avvicinava alla propria bocca quando con la sua ingenua e delicata vocina da bimba poneva quesiti a chiunque le capitasse sotto tiro, e poi lo puntava verso i suoi interlocutori in attesa di una risposta che non sempre arrivava. Fu allora, in quelle giornate che lei ricordava come continui tramonti rinfrescati da un vento leggero che faceva sussurrare gli alberi e agitare i ciuffi d’erba, già in parte coperti da piccole e colorate foglie cadute, che le venne la passione per il giornalismo.

 

Scosse la testa, come per cancellare le  immagini che le si erano formate nella mente, immagini di un’altra vita, felice e piena di passioni. Una nuova occhiata alle lancette metalliche, che ancora non si erano disposte nel modo giusto. Sbuffò nuovamente, mentre un brivido le percorse la schiena. Si sistemò meglio sulla sedia girevole che occupava da ore e si fregò le mani, per darsi un po’ di calore: tutta quell’immobilità le aveva fatto venire freddo. Già, l’immobilità, ecco cos’era il suo lavoro. Una grossa, snervante immobilità. Altro che inchieste sul campo! Altro che domande rivolte alla gente in maniera polemica, ironica, sagace, altro che giri sul territorio, passo dopo passo a consumarsi la suola delle scarpe. Altro che appunti scritti in tutta fretta mentre qualcuno parlava, inveiva, o foto scattate cor rapidità e circospezione con una piccola fotocamera. Tutto ciò che aveva immaginato fin da bambina, tutto ciò che aveva desiderato fare, tutti i suoi progetti sul futuro impiego erano sfumati, lenti ma inesorabili, come del fumo salito troppo in alto nel cielo. Si era presentata in redazione, aveva dato il meglio di sé nel periodo di prova, come del resto durante il colloquio col direttore, ma ciò nonostante, invece di essere inviata a presidiare un quartiere, una zona, un piccolo paese nelle vicinanze, le fu mostrata una sedia girevole, nuova, nera, un computer e una minuscola scrivania, separata dalle altre da sottili pannelli verticali, bianche e lucidi. Solo una volta fu inviata sul campo. Doveva documentare la protesta di alcuni disoccupati. Si mise in macchina e corse, veloce. Giunta sul posto si mise a fare domande, foto. Poi andò dalle “autorità”, a raccogliere i loro pareri, a spronarli a proporre soluzioni. Tornò nel suo ufficio senza porte né soffitto e stese l’articolo. Battuta dopo battuta raggiunse le dimensioni prefissate, lo stampò, lo fece leggere al direttore. A questi bastò qualche secondo per stroncarlo.

«Troppo colorito. Torna al tuo lavoro alla scrivania» disse.

“Meglio non provare nemmeno a ricordare come mi sentii mentre tornai alla mia postazione”, si disse la ragazza. Fissava ancora, senza neanche vederla, la pagina bianca e nera di un quotidiano on-line.

 

asa.jpg«Ehi cosa ti è successo?» le chiese una voce maschile che richiamò la sua attenzione. Lei si girò e fissò il collega, senza capire.

«Sei ferma da un pezzo, fissi il computer e non fai nulla» continuò l’altro, che si era fermato a guardarla già da un po’.

«Niente. Non è successo niente» rispose la ragazza, senza essere convincente, con un sorriso forzato ed amaro sul volto.

«Non è successo niente» ripetette. Era proprio quello il problema.

 

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L’Autunno in città – parte secondaultima modifica: 2009-11-14T10:03:00+01:00da carminedecicco
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