Nel nome del padre – recensione

 

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“Nel nome del padre” è un film del 1993 diretto da Jim Sheridan e tratto dal romanzo autobiografico “Proved Innocent” di Gerry Conlon, interpretato sul grande schermo da Daniel Day-Lewis. Candidato a sette premi oscar senza vincerne alcuno, è incentrato sull’ingiusta carcerazione patita dal protagonista, dal padre di questi, e da altri suoi parenti ed amici in seguito all’attentato terroristico avvenuto il 5 Ottobre del 1974 in un pub a Londra, in cui morirono 5 persone.

Siamo nel pieno degli anni Settanta, e la lotta tra l’Inghilterra e l’IRA, l’Irish Republican Army che si batte per la liberazione dell’Irlanda del Nord, è molto intensa. Gerry è uno scavezzacollo, che per sopravvivere in una Belfast dilaniata dalla guerriglia e dalla tensione, rubacchia insieme a qualche coetaneo. Ma non può andar avanti così, e quindi il padre Giuseppe lo spedisce a Londra per cercar fortuna. Il giovane fa tutt’altro, e si ritrova invischiato in una comune di coetanei, tra i quali ben presto trova un rivale. Questi non esita a denunciarlo ingiustamente dopo l’attacco terroristico al pub, e così Gerry finisce in carcere, insieme al suo vecchio compagno di scuola e ad altri due irlandesi della comune. Saranno condannati a trenta anni di carcere per via di confessioni che gli inquirenti estorcono con la forza. Lunghi anni di carcere comminati anche per il padre del protagonista, corso in Inghilterra per stargli accanto e ritrovatosi nella sua stessa cella.

Il film unisce il piano intimo e personale del rapporto tra padre e figlio, con quest’ultimo che gradualmente si riavvicina al genitore, a quello pubblico delle indagini e del processo, della revisione e delle manifestazioni del popolo che chiedeva la scarcerazione degli innocenti. Sullo sfondo di una Belfast avvezza quanto ferita dagli scontri armati, prima, e di una Londra stretta nella morsa e nella paura del terrorismo poi, la storia vera ed esemplare di un sistema marcio, volto a cercare un capro espiatorio per una strage e incapace di tornare indietro, riconosciuto l’errore dopo le confessioni dei veri colpevoli dell’attentato.

Con un film commovente che non rinuncia ad analizzare quanti più aspetti possibile della questione nordirlandese, il regista, irlandese di Dublino, evidenzia la durezza della legislazione d’emergenza vigente nel Regno Unito tra il ’73 e il ’74 volta a fronteggiare il pericolo del terrorismo legato all’IRA. Legislazione che non mancherà di fare vittime innocenti, come Giuseppe e Gerry, il quale dopo aver conquistato la libertà continuerà la propria lotta nel nome del padre affinché il nome di questi, morto in prigione, sia riabilitato.

Nel nome del padre – recensioneultima modifica: 2011-04-22T23:37:00+02:00da carminedecicco
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5 pensieri su “Nel nome del padre – recensione

  1. è un bellissimo film che ho visto ben due volte e che sconvolge e cattura ancor di più se si pensa che è una storia di vita vissuta

    un caro saluto 🙂

  2. Ottimo film, del quale ricordo anche la splendida colonna sonora (in particolare il brano – mi pare omonimo – degli U2). E ottima recensione 😉

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