Giri della morte

 

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Pioveva. Io aspettavo sotto la pioggia, senza nemmeno coprirmi con un ombrello. Da un paio d’ore gocce d’acqua fini ma intense scendevano da un cielo plumbeo e triste. Intorno a me le case riposavano tranquille, qualche lampione malfunzionante, con le sue variazioni di intensità luminosa, donava alla scena la dignità di un film. Ma non ebbi modo di godermela a lungo: l’aria fu riempita dal boato di un’automobile seguita dai latrati di qualche cane. Man mano che si avvicinava, l’autista della Ford aumentava la velocità. Per un attimo credetti che avrebbe proseguito diritto, che non si sarebbe fermato vedendomi. Ma non fu così, e la vettura si inchiodò sull’asfalto tradendo solo una leggera incertezza per via del fondo bagnato. Musica house mi circondò mentre il vetro scuro si abbassava e dall’abitacolo comparve un volto spavaldo, barbuto ed emaciato.

«Sei in ritardo!».

«Sali».

Salii gettando un’ultima occhiata priva di rimpianti al ciglio di strada che fino ad allora mi aveva ospitato. Fui assordato dall’alto volume delle note e dal profumo che pervadeva l’angusto ambiente.

***

La superstrada a quell’ora di notte era spopolata, chilometri e chilometri di asfalto nero e levigato senza veicoli lenti o impacciati. Enzo schiacciava al massimo il piede sull’acceleratore, gli occhi fissi sulla strada, la mente impegnata a conversare con me e gli altri.

«Un giro della morte, come ai vecchi tempi».

Il pilota fissò il proprio sguardo nello specchietto retrovisore, sicuro di incontrarne un altro altrettanto deciso quanto emozionato. Non disse nulla, ma alzò il volume della radio. Cominciai a sentirmi agitato. Ogni giro della morte era una lotteria dall’esito niente affatto scontato.

Si trattava di uscire dalla superstrada e rientrarvi subito dopo, percorrendo un cerchio quasi perfetto, trecentosessanta gradi di follia e batticuore.

«Come ai vecchi tempi» disse d’un tratto Enzo.

Se non altro ai vecchi tempi non eravamo mai morti.

***

I divanetti di velluto nero sui quali sedevamo erano tutt’altro che comodi, eppure in quel bar erano il nostro posto preferito. Si trovavano al piano di sotto, lontano dagli occhi dei più, dove potevamo liberamente fumare e lanciarci i cuscini, bambini troppo cresciuti. Di tanto in tanto scendeva qualcuno, soprattutto ragazze, dirette ai bagni. Le osservavo con cupidigia, immaginando la scena di noi rinchiusi nell’asfissiante metro circondato da pareti del cesso. Ricordai Anna, il colore della sua pelle, il sapore della sua carne.

«Un altro giro» disse qualcuno accanto a me.

«Sì, il giro della morte. Offro io» risposi senza pensarci troppo. Presi a chiamare a gran voce il nome della cameriera, facendo fatica a tenere a mente ciò che volevo ordinare e l’esatta quantità.

«Allora, che vuoi?» mi chiese infastidita, fissandomi con uno sguardo gelido, la giovane che aveva appena raggiunto il nostro tavolo.

Aveva un mascara pesante intorno agli occhi e una vistosa scollatura. Le avrei volentieri dato uno schiaffo.

***

Il display del cellulare sentenziava che sarei dovuto tornare a casa al più presto, se quella notte avessi voluto dormire. Ma non gli diedi retta. La testa mi girava leggermente, la pioggia era ripresa a cadere. Enzo, al solito, correva. Mi domandai per un istante quanta benzina avrebbe consumato quella sera, poi mi concentrai ad ascoltare le parole che la cantante nipponica urlava alla radio.

«Che si fa?».

Già, cosa avremmo potuto fare per evitare di dover rincasare, di far ritorno alle proprie solitudini?

«Puttane!». Sì, era quella la risposta. Battemmo il cinque gli un con gli altri, poi l’auto cambiò direzione.

Percorreva lenta strade dissestate, umiliate ed offese da rifiuti di ogni genere. Altri, come noi, guidavano in quelle periferie di perdizione e degrado, vetture lussuose, trabiccoli pericolanti. La luce dei primi fuochi diede il cambio all’illuminazione dei lampioni, segnalando la meta vicina. Le prime ragazze africane indossavano pellicce scadenti che coprivano un corpo seminudo. Alcune sorridevano, altre avevano un’aria superba e beffarda. Ma c’era anche chi aveva gli occhi tristi e l’aria dimessa. Quelle non ci interessavano. Enzo accostò vicino ad una ragazza che sembrava avere la nostra età. Restò interdetta nel vedere quanta gente ci fosse nell’auto, ma alla fine si avvicinò. Quando fu abbastanza prossima alla vettura, il nostro pilota ripartì veloce, approfittando della pozzanghera per bagnare la ragazza. Qualcuno di noi le urlò pesanti offese mentre lei sbraitava chissà cosa mostrandoci il dito medio.

Trascorremmo il resto del nostro tempo a girare per quelle strade, prendendo il giro le puttane. Quando rincasai, un sole apatico cominciava ad illuminare il cielo. Mezz’ora dopo sarei dovuto essere a lavoro.

Giri della morteultima modifica: 2011-09-05T11:00:00+02:00da carminedecicco
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Un pensiero su “Giri della morte

  1. Ciao Carmine, ritorno a leggere le tue belle scritture.

    Buona domenica, un giorno da non tralasciare,
    l’11 settembre di 10 anni passati, una tragedia
    da non dimenticare per noi e per la nostra
    futura generazione.

    Ciao da Giuseppe.

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