Alla ricerca di lei

Uscii dalla camera senza nemmeno controllare il mio aspetto nel grande specchio posto all’ingresso. Appena il tempo di farmi accarezzare per l’ultima volta dal dolce torpore liberato dai ceppi d’acero che ardevano nel camino, e chiusi la porta alle mie spalle. Difilato percorsi gli stretti e numerosi gradini preparandomi al brusco crollo della temperatura una volta in strada. Giunsi al pianterreno e aprii il pesante portone principale del palazzo, non prima di aver rivolto un cenno, a metà tra il saluto e la sfida, al portiere. Questi, in tutto risposta, mi fissò sospettoso. Era questo il nostro rapporto, io non piacevo a lui, lui non piaceva a me; io non mi fidavo di lui, lui cercava continuamente di carpire qualche mio segreto, sempre attento ai miei movimenti, memore di ogni mio spostamento. Su mandato di chi agisse, non mi era dato sapere. Appena fui in strada ricevetti uno schiaffo in pieno volto dal vento. La temperatura crollò, le mie narici furono invase dall’odore di fumo. Crocchi di miserabili erano riuniti presso camini improvvisati, nei quali, per riscaldarsi, bruciavano di tutto, con buona pace dei miei polmoni. La luna, nel pieno del suo splendore, fissava, senza tuttavia far trasparire una qualsiasi emozione dal proprio aspetto, le strette e mal illuminate vie di Zpàtky, il dannato quartiere nel quale mi ero da poco trasferito. Fissava le case coi tetti spioventi che cadevano a pezzi, mute e sofferenti, i piccoli negozi con le loro insegne malsicure, colorate dalle luci violente dei neon. Fissava me, che a passi lenti mi dirigevo verso la stazione della metropolitana. La lentezza era figlia della mia indecisione, delle confuse idee che gremivano la mia mente rendendola poco lucida. Senza un piano preciso, senza un indirizzo, a corto perfino del più insignificante degli indizi, mi ero convinto ad andare alla ricerca di lei. Due giorni erano passati dal nostro ultimo, fugace incontro. Mi era comparsa davanti improvvisa, calma nei suoi vestiti neri, irresistibile nella sua aurea divina. Mi era comparsa davanti, improvvisa, come già altre volte, la sera prima e quella prima ancora e anche l’altra, quella precedente. Mi era comparsa davanti come la prima volta in quella piazza, al morire del giorno. Non mi ero chiesto chi fosse, quasi la solennità della sua presenza non richiedesse domande banali. L’avevo seguita, semplicemente seguita. Lo avevo fatto per ore, ora accanto, ora dietro, camminando le tenevo la mano, la guardavo fisso negli occhi, leggevo la sua mente e la sua volontà voltando con cautela le pagine, con la stessa attenzione che richiede un antico manoscritto. L’avevo seguita per ore; non una parola, non una spiegazione. Solo la consapevolezza di vivere inimitabili attimi, passo dopo passo, con l’intera città come sfondo, mero accessorio di scena per la nostra Prima. Rividi ogni singolo istante di quell’incontro, di quelli successivi, fino all’ultimo, fugace, che risaliva a due giorni prima. Continuai a percorrere le strade, sempre più buie, lento, indeciso, ora memore, ora dimentico, della mia meta. Arrivai sul ponte Zime, il ponte più antico della città, fatto costruire per volere dell’Imperatore quando decise di stabilire la sede della sua corte proprio presso queste rive. La statua sua ancora troneggiava al centro della struttura, là dove il ponte si allargava in pompa magna. Mi fermai a fissare l’Imperatore, immobile da secoli, chiedendomi quanti disperati in notti senza luna gli avessero lamentato le loro pene, dinanzi ad una bottiglia di vodka, muta osservatrice. Mi sporsi dal parapetto per guardare il fiume e, lontani, gli alti palazzi del centro, le ville suntuose, i passanti veloci, minuscoli. Fu allora, inspirando quell’aria bagnata per via dell’acqua corrente, che capii. Capii che lei era tutto ciò che desideravo. L’alfa e l’omega dei miei pensieri, delle mie esigenze, del mio Essere. Il diadema di cui avevo bisogno per essere nobile. Ne ero certo, avevo intrapreso il mio viaggio per lei. Avevo tenuto quei comportamenti, fatto quelle scelte, in vista di quell’incontro. Il nostro. Un’ultima occhiata alla torre di Statnic, poi ripresi a camminare verso la stazione. In quella gelida notte, stavo scrivendo il mio destino, sotto il vigile sguardo delle stelle, mentre nell’aria risuonavano vecchie canzoni d’amore stonate da malinconici ubriachi.

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Alla ricerca di leiultima modifica: 2009-01-24T09:24:00+01:00da carminedecicco
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