Francesca studiava in Abruzzo, a L’Aquila. Poi il terremoto spazzò via tutto, lei tornò a casa. Credo fu l’unica a cui non telefonai per accertarmi delle sue condizioni. Non so neanche perché a dire il vero. Eppure con lei mi ero frequentato a lungo. O forse sarebbe meglio correggere: a lungo per i miei standard. Sei mesi quando lei era all’ultimo anno delle Superiori e io una matricola alla facoltà di Economia. Finì a causa mia ovviamente. Perché prima che incontrassi Lucia non riuscivo mai ad affezionarmi seriamente a qualcuno.
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Ad un anno di distanza dal ritorno di Francesca mi venne per la prima volta in mente di andare da lei per un saluto. Avevo preso a passare regolarmente vicino casa sua un paio di volte a settimana. Lavoravo come commercialista, e tra le varie piccole attività commerciali che seguivo, ve ne era una nel suo stesso paese. E così tornando da lì attraversavo la strada sulla quale si affacciava la sua casa, ma svoltavo prima di arrivarvi, a un centinaio di metri dall’abitazione. Per i primi mesi non ci pensai affatto, poi notai la circostanza, sorprendendomi per non averlo fatto prima.
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Intanto continuava la mia vita e il mio lavoro, sui binari consueti, e anche l’idea che si insinuò nella mia mente pian piano,quella del matrimonio, non provocò particolari sussulti alla tranquillità dei miei giorni. All’immobile tranquillità dei miei giorni.
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Eppure passavo sempre a un centinaio di metri dalla casa dove Francesca abitava, quella stessa casa nella quale anni prima mi introducevo di soppiatto per trascorrere ore proibite e lussuriose. Continuavo ad arrivare a cento metri da lì e poi girare. Un giorno o l’altro proseguirò diritto, mi dicevo, come un bimbo che confessa all’insegnante che da grande vuol fare l’astronauta. Ma un giorno lo feci davvero.
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Da un po’ il passaggio vicino a quell’abitazione aveva preso ad eccitarmi. Un’increspatura nel mare calmo della mia esistenza. Sentivo i battiti accelerare e strani movimenti nello stomaco mentre passavo per quella strada. Riprovavo un desiderio assopito da tempo. E così quel giorno non cambiai direzione all’incrocio di via Falcone. Sudavo, man mano che i famosi cento metri si riducevano a novanta, ottanta, cinquanta.
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Avevo sempre creduto che l’avrei trovata in casa, ad attendermi, e nelle mie fantasie notturne il nostro incontro dopo anni di astinenza era tutt’altro che imbarazzato. Nel posteggiare la mia Citröen sotto casa sua pensai alla mia Lucia. L’avrei sposata, e con lei la vita sarebbe stata un Paradiso. Ma in quel momento desideravo solo perdermi nell’inferno dei miei peccati, dopo essermi a lungo fermato a cento metri dalle mie tentazioni. «Chi è?» una voce metallica che non faticai a riconoscere rispose alla pressione del mio dito sul citofono. Dissi il mio nome ed entrai nel portone aperto con solerzia. Vi era una scritta a margine, ma lo stato di trance nel quale ero sprofondato mi impedì di leggere.
Solo per dirti grazie ed augurarti un buon fine settimana Carmine…. un abbraccio!
Grazie per il commento che mi hai lasciato sul blog. Mi fa piacere che il post ti sia piaciuto e l’estratto del romanzo in pdf ti sia stato stato utile. A presto.
Buona domenica Carmine, una
giornata dedicata alle mamme.
Ciao da Giuseppe.
Ma mi lasci così? Voglio sapere come finisce!!!
Buona serata!
Splendida prosa
Bello anche il racconto sul padre, non so mai se scrivi di te, o sono racconti:)))…questo rispecchia molto la mentalità maschile, fossi quell’uomo eviterei di sposarmi, l’amore vero da dannazione e beatitudine senza cercar altro..a mio avviso ^____^se no dopo un pò diventa un matrimonio di routine e non fa bene al cuore:)